Armi sempre più sofisticate chieste da Kiev. Per attaccare Mosca o per evitare il crollo?

Ricordate il dibattito sull’invio di carri armati Leopard? Beh, quello era ieri. Oggi nelle capitali occidentali si sta già considerando il passo successivo: l’invio di jet da combattimento a Kiev. Un’idea scartata sin dalle prime fasi della guerra, quando l’Ucraina chiedeva alla NATO di stabilire una no-fly zone sui suoi cieli, o in alternativa i caccia per proteggersi dai bombardamenti russi.
Dopo il via libera dello scorso dicembre sui Patriot, il sistema missilistico anti-aereo più avanzato nell’arsenale americano, Biden non sembra per ora intenzionato ad aprire sugli F-16. Alla cui riesportazione, come per i Leopard tedeschi, serve l’autorizzazione del Paese di produzione.

Ma cosa sta accedendo in realtà? Biden e Zelensky pensano davvero di poter attaccare direttamente la Russia senza pagare pegno nucleare? O sono due pazzi, o qualcuno è militarmente o politicamente con l’acqua alla gola.

La Nato sparpagliata e gli F-16 Usa

Con più di 4500 unità prodotte e circa 3000 in servizio, gli F-16 sono uno degli aerei da combattimento più popolari al mondo. In Europa, ben sette Paesi NATO possiedono il caccia nel proprio arsenale, e almeno tre di loro sono alla ricerca di acquirenti. Con la Polonia e i piccoli baltici che sono ormai in guerra ufficiosa accanto a Kiev. A confermate la frattura Nato tra Nord e sud, la scorsa settimana, il ministro degli Esteri olandese ha dichiarato che i Paesi Bassi prenderebbero in considerazione l’invio dei propri F-16.

Scambio tra MiG-29 sovietici ed F-16 Usa

Ci sarebbe una seconda opzione, segnala ISPI: «inviare a Kiev aerei sovietici come i MiG-29 ancora presenti negli arsenali dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia, che riceverebbero in cambio F-16 americani». La proposta, portata avanti dalla Polonia fin dallo scorso marzo, era stata esclusa perché considerata troppo rischiosa. Oggi, invece, sembrerebbe l’opzione più praticabile.
Forse è per questo che alla Lockheed Martin, l’impresa americana produttrice di F-16, si stanno già preparando ad aumentare produzione e proventi.

Tra il dire e il fare…

Con o senza l’autorizzazione, l’invio di caccia a Kiev comporta di per sé una serie di complicazioni logistiche, spiegano gli specialisti. In Ucraina mancano piste adatte al decollo degli F-16 e qualsiasi tentativo di costruirle sarebbe facilmente individuabile e facile bersaglio dei russi. Il loro utilizzo, inoltre, richiede mesi di addestramento: se per i carri armati si prevede un periodo di diverse settimane (12 per i Leopard e 22 per gli Abrams), imparare a pilotare F-16 richiede fino a 9 mesi.

Dopo gli aerei d’attacco, solo le armi atomiche

Da un punto di vista politico, poi, l’utilizzo di jet da combattimento rende sempre più labile ‘linea rossa’ fra l’invio di armi a scopo difensivo e un coinvolgimento diretto nel conflitto, con rischio di escalation, ma con quale possibile armamento come ultima possibile minaccia? Washington e Berlino lo sanno, sostiene Ispi, e anche per questo frenano. Più la Germania degli Stati Uniti, e più il Pentagono del Dipartimento di Stato a guida Blinken.

Sulle armi a lungo raggio Kiev dice e contraddice

«L’esercito russo non è a corto di mezzi letali. Può essere fermato solo con la forza». Aggiornamenti solo ieri di Zelensky nel suo consueto video notturno, dopo aver chiarito che «in Donbass la situazione è estremamente grave». Ma come, «gli arsenali di Mosca non erano quasi vuoti?», si chiede stupito Sabato Angieri sul Manifesto. Forse la campagna mediatica per le opinioni pubbliche occidentali sul «fallimento imminente del sistema russo», evidentemente ha litigato con i fatti. Vero è che nelle ultime settimane i vertici politici ucraini meno televisivi ripetono che la situazione si sta aggravando. E non sembra un pretesto col trucco, mettendo in conto la sanguinosa battaglia per Bakhmut, la perdita di Soledar e i bombardamenti continui alle grandi città del Paese.

‘Tritacarne’, chi può reggere più mori

A sud del Donetsk si combatte in quello che è ormai stato definito dagli analisti militari un «tritacarne, «ovvero un fronte nel quale gli eserciti subiscono perdite umane costanti e consistenti per un obiettivo tutto sommato non decisivo, tenere occupata la controparte, impedirgli di spostare le truppe altrove e riorganizzarsi», spiega Angieri. Ed ecco, oltre la propaganda, i politici ucraini si sono dovuti arrendere al fatto che una guerra d’attrito prolungata nel tempo favorisce gli invasori. I quali hanno risorse umane e riserve maggiori e, soprattutto, non dipendono dal supporto di nessuno.

Ma le armi Nato e Ue possono bastare?

«La guerra è un’idrovora che fagocita risorse a un ritmo forsennato e il collasso economico è un rischio reale. Il governo di Zelensky lo sa e, malgrado finora abbia contato su tutto l’aiuto che uno stato in guerra può sperare, oggi ragiona in prospettiva. L’Ucraina ha bisogno di supporto il più rapidamente possibile, se dovesse aspettare fino al mese di agosto o settembre, sarebbe troppo tardi» ha dichiarato Vadym Omelchenko, l’ambasciatore ucraino in Francia in un’intervista alla tv locale Bfm.
Omelchenko ha anche chiarito che i paesi occidentali forniranno a Kiev 321 carri armati, ma senza saper dire quando. Noi invece sappiamo che gli Abrams statunitensi «impiegheranno molti mesi prima di poter scendere in campo», come ha ribadito ai microfoni della Cnn John Kirby, portavoce della Casa Bianca per la sicurezza nazionale.

Tante ritrosie europee

Sappiamo anche che alcuni Paesi europei che hanno promesso i Leopard 2, come il Portogallo, ora si trovano nell’imbarazzo di non avere abbastanza mezzi «pronti al combattimento». Altri, come l’Italia, ancora ora inciampa sul sistema di difesa aerea «Samp-T» tra Ucraina e Slovacchia. Peggio: secondo il quotidiano d’oltralpe ‘L’Opionion’, giovedì i ministri degli esteri di Roma e Parigi avevano deciso l’acquisto congiunto di 700 missili Aster-30 da destinare all’Ucraina per 2 miliardi di euro. Ieri la smentita della Difesa italiana che ha bollato quei due miliardi di missili, come «informazioni prive di fondamento».

Crosetto-Medvedev

Il ministro della Difesa italiano Crosetto ieri è stato anche protagonista di un battibecco sui social network con l’ex presidente russo. Questi aveva definito «sciocche» le dichiarazioni di Crosetto sull’invio di tank a Kiev per prevenire l’allargamento del conflitto. Crosetto ha ribadito la sua posizione esortando Medvedev a pensare «di metter fine alla guerra».

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AVEVAMO DETTO

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