
Al G20 di Bali, in autunno, ci saranno anche Vladimir Putin e Xi Jinping. Gli americani lo temevano, da un pezzo, e avevano fatto di tutto per “convincere” gli indonesiani che, soprattutto la presenza della Russia, sarebbe stata “ingombrante”. Ma, almeno finora, non c’è stato niente da fare. Gli obblighi che derivano dai trattati internazionali vanno rispettati. Almeno questo è il credo occidentale, perché poi, in Ucraina, il capo del Cremlino ha fatto a modo suo. E il presidente dell’Indonesia, Koko Widodo, mai si sognerebbe, come padrone di casa, di non invitare qualche ospite di riguardo al G20. Sarebbe un boomerang. Peggio, sarebbe un errore geopolitico fatto da un Paese che, come i tre quarti del pianeta, non vuole mettersi addosso etichette. Un Paese che, per scelta e per necessità, sposa la saggia filosofia del “non allineamento”.
O, se ci passate il termine, dell’allineamento “binario”, cioè con l’Occidente e col blocco russo-cinese. Perché, ormai queste sono le posizioni delineate. Il presidente Wifodo, intervistato da Bloomberg, giovedì ha dato in anteprima la notizia, spiegando che il vertice che si terrà in Indonesia dovrà certificare “condizioni di pace e di serenità”, soprattutto in Asia. E, in effetti, la location scelta e gli ultimi avvenimenti internazionali, come la crisi nello Stretto di Taiwan, hanno reso l’Indo-Pacifico la regione in questo momento più sensibile ai repentini cambiamenti dello scenario internazionale. Sullo sfondo, è vero, si agita sempre la guerra in Ucraina, con le sue devastanti conseguenze politiche, sociali ed economiche. Ma questa crisi, sebbene sia ancora una ferita aperta e purulenta, stranamente pare essersi cronicizzata.
Le Cancellerie sembrano quasi averla metabolizzata. Lo scontro titanico fra Cina e Stati Uniti no, invece. Potrebbe riservare sorprese clamorose e inaspettate. Secondo gli analisti occidentali, Xi Jinping, spalleggiato da Putin, potrebbe sfruttare la tribuna di Bali per lanciare precisi messaggi politici, soprattutto all’Asia.
In questo senso, la successione temporale degli avvenimenti, in programma da qui all’autunno, è fondamentale. Parliamo del 20º congresso del Partito comunista cinese, che dovrà dare una nuova investitura formale al leader, confermandolo al vertice della Commissione militare e danno via libera al suo terzo mandato come Presidente della Cina. Tutto questo dovrebbe succedere tra ottobre e metà novembre, cioè proprio a ridosso del G20 di Bali. Dove Xi Jinping potrebbe presentarsi in tutta la sua sfolgorante potenza. Probabilmente, l’autocrate del Cremlino, per quella data, spera anche lui di poter esibire qualche risultato politico che lo metta in posizione di vantaggio.
Non sappiamo se sarà così, ma al G20 indonesiano potrebbe anche presentarsi un Biden indebolito dalle elezioni di Medio termine. Mancano ancora due mesi e mezzo e i Democratici, dati per perdenti dai sondaggi, possono ancora recuperare. Ma tornando alla fondamentale importanza geopolitica per l’Asia del prossimo G20, va sottolineato come sia la Russia che la Cina stiano già preparando, attentamente, una svolta in politica estera. Xi e Putin studiano un incontro a sorpresa in Asia centrale, per concordare una strategia “regionale” comune. È il primo passo di un protocollo di collaborazione, che da ora in poi, probabilmente, interesserà molte aree del pianeta.
Ed è la prova provata che l’Occidente, con la sua politica di confronto esclusivamente muscolare, ha finito per cementare il blocco Mosca-Pechino. La notizia del meeting, anticipata dal Wall Street Journal, è accompagnata da valutazioni che lo mettono in relazione con l’ultima crisi dello Stretto di Taiwan. Pare che la leadership cinese, dopo il viaggio della Pelosi, considera la possibilità di uno scontro militare con gli Stati Uniti molto più probabile di prima. E questo, fa scalare al primo posto, prima di qualsiasi altra considerazione economica o commerciale, la questione della sicurezza razionale. Insomma, la Cina sta stringendo rapporti non solo politici ed economici, ma anche militari con la Russia di Putin.
E c’è da aspettarsi che questo non solo porti a un’intesa operativa, ma apra la strada a strategie geopolitiche comuni, che identifichino sempre e comunque gli Stati Uniti e, a seguire, l’Occidente, come nemici conclamati. Il meeting si dovrebbe svolgere a Samarcanda, in Uzbekistan, a margine della riunione dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO). Oltre alle repubbliche dell’Asia centrale, al vertice parteciperanno giganti del calibro di India, Pakistan, Iran e Turchia (come osservatore).
Insomma, più gli Stati Uniti minacciano “rappresaglie”, contro chi non ripudia “l’asse del male”, e più nemici si fanno. Ma l’hanno capito?