La storia del colonialismo non si limitò alla spoliazione delle risorse naturali dei paesi africani o allo sfruttamento delle popolazioni, ma – in qualche caso – per accaparrarsi le ricchezze naturali le potenze europee si scontrarono direttamente tra di loro. In una prima fase in Africa si rispecchiarono gli equilibri europei e i relativi conflitti tra Inghilterra, Spagna, Portogallo e Francia, ma, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, l’espansione avvenne in un crescendo di tensioni che si riverberarono anche sul continente europeo. Il picco fu toccato alla fine del secolo, quando tra Francia e Inghilterra si sfiorò una vera e propria guerra per il controllo dell’Africa.
Per decenni esploratori, sostenuti più o meno ufficialmente dai governi occidentali, avevano disegnato la cartografia del continente per definirne gli spazi, ma immancabilmente i risultati erano stati passati ai diversi governi per organizzare le successive conquiste. Sostenendo ufficialmente di ricercare le sorgenti del Nilo una spedizione francese dal Senegal si era diretta verso il Sudan, ma in realtà lo scopo della missione era quello di assicurare un collegamento dall’Atlantico al Mar Rosso, da Dakar a Gibuti, un corridoio che avrebbe tagliato in due il continente e soprattutto separato le colonie inglesi del Kenya e del Sud Africa dall’Egitto e dal Sudan.
Dopo mesi di cammino un intrepido ufficiale francese, il capitano Marchand, arrivò così a Fashoda sul Nilo (oggi Kodok) in Sudan il 10 luglio 1898: a settembre tuttavia, arrivò nello stesso villaggio anche una missione inglese guidata da lord Kitchener, convinto di essere il primo ad arrivare alle sorgenti del Nilo, che scoprì invece di essere stato preceduto dai francesi.
Si corse il rischio dello scoppio un più vasto conflitto, visti i già difficili rapporti tra le due potenze, ma dopo lunghi negoziati si trovò alla fine un accordo e le relazioni anglo-britanniche migliorarono gradatamente fino ad un’alleanza stipulata nel 1904.
Probabilmente il caso più eclatante di sfruttamento, brutalità e spoliazione sistematica di un territorio africano fu quello attuato nel Congo belga. Ancora oggi è difficile trarre un bilancio complessivo dei ricavi smisurati, ma basti accennare che – solo nel decennio dal 1898 al 1908, che fu anche l’ultimo del dominio personale di re Leopoldo II – nelle sue casse arrivarono circa cinquanta milioni di franchi oro. Né in precedenza gli affari erano andati male: dal 1887 l’avorio e il caucciù, di cui era in pratica detenuto il monopolio mondiale, avevano fruttato centinaia di milioni.
Per la raccolta del cacciù erano schiavizzati interi villaggi, mentre l’avorio implicava lo sterminio degli elefanti. Nel primo decennio del Novecento cominciò a levarsi un’ondata di indignazione, ma poiché soprattutto la gomma naturale era un prodotto di cui le economie europee non potevano fare a meno, le importazioni continuarono lo stesso. Un prodotto esportato in Europa era rivenduto a dieci volte il suo costo e le importazioni erano limitate a pochi generi destinati ai funzionari o agli impiegati bianchi. Questa semplice ed enormemente redditizia bilancia dei pagamenti suscitava l’invidia di molti paesi europei, che voltavano lo sguardo da un’altra parte sull’origine di queste ricchezze.
Alla fine, all’interno del Belgio, si sviluppò un movimento per l’annessione del Congo, ossia il trasferimento da bene personale del re all’amministrazione governativa, ma le cose non cambiarono affatto: anzi, secondo molti storici, la razionalizzazione dello sfruttamento praticata dall’amministrazione pubblica peggiorò il già pessimo trattamento delle popolazioni locali. Inoltre, a partire da questo periodo, si aggiunse anche l’industria mineraria: da una parte si continuò a produrre utili astronomici e dall’altra la parte di popolazione non ancora coinvolta nella raccolta del caucciù, fu asservita nelle miniere.
La decolonizzazione e l’indipendenza di molti paesi africani furono salutati in generale con simpatia e favore dalla comunità internazionale, anche se ben presto si manifestarono instabilità e conflitti tra i nuovi attori internazionali. I primi ad ottenere l’indipendenza furono i possedimenti dipendenti da Francia e Inghilterra, ma in seguito – caduti i regimi fascisti in Spagna e Portogallo – tutta l’Africa si poté dire decolonizzata.
Le passate esperienze coloniali avevano lasciato comunque un segno profondo, se non in certi casi ferite difficili da rimarginare: il sistema di potere coloniale infatti aveva spesso approfittato delle divisioni esistenti nelle popolazioni locali o ne aveva create di nuove originando situazioni ingovernabili. Soprattutto le nuove classi dirigenti locali, che si erano formate sotto il dominio coloniale e si erano pronunciate per l’indipendenza, non sempre furono in grado di portare a compimento i progetti politici e di riforme per cui raramente i nuovi sistemi economici decollarono.
A questa prima decolonizzazione seguirono crisi estremamente gravi, come nel caso delle guerre civili in Congo – iniziate nel 1960 e praticamente tuttora in corso in alcune zone del paese – o la guerra del Biafra (dal 1987 al 1970). Furono conflitti caratterizzati da un livello estremo di violenza e brutalità che provocarono milioni di morti e che la comunità internazionale non riuscì quasi mai a far cessare. Alle consuete difficoltà si sono aggiunte oggi minacce terroristiche od organizzazioni criminali che sfruttano l’abbondanza di materie prime.