Lo dicono i sondaggi: solo un cittadino britannico su cinque pensa che fuori dall’Ue sia andata/stia andando bene ci infortma solo un cittadino britannico su cinque pensa che fuori dall’Ue sia andata/stia andando bene Leonardo Clausi, agenzia ANSA, da Londra. «Terzo dell’inizio formale dell’era Brexit, ma a fanfare mute. E più che un anniversario (sarebbero seguiti altri 11 mesi nel blocco per gestire la transizione) è parso un suffragio, offuscato com’era dalle doglianze diffuse sullo stato dell’economia».
L’intreccio micidiale di pandemia, guerra Ucraina in cui i britannici sono parte anche troppo coinvolta, crisi ambientale/energetica, e leader politici al massacro, l’entusiasmo di tre anni fa – comunque limitato a quel 52% di secessionisti vincitori del referendum del 2016 e poi delle elezioni del 2019 in sella al focoso Boris Johnson – si è andato via via consumando assieme a illusioni e bugie.
Gli economisti avvertono che la recessione dovrebbe colpire il Regno Unito due volte più duramente di quanto non si pensasse in precedenza. In un’epoca di alti tassi di interesse, l’economia britannica sta facendo peggio di tutte le economie del G7: di quella tedesca, ma anche di quella russa sotto sanzioni soprattutto anglo americane. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) prevede una contrazione dello 0,6% contro una crescita dello 0,3% prevista lo scorso ottobre.
Il Regno Unito sarà l’unico paese ad avere un calo di Pil. Questo rispetto ad una inflazione che resta inchiodata al 10%. Da qui «l’onda lunghissima e perdurante di scioperi, oltre che di un’impennata siderale del costo della vita patita da milioni di famiglie. Crollo della manifattura, industria automobilistica anemica, sistema sanitario nazionale genuflesso, non erano esattamente quanto promesso dai brexittieri», elenca Clausi.
Attese disattese dopo una sequela di debacle e tre leader conservatori fatti fuori per inciampo politico o per conclamata incapacità in pochi mesi. Ora, col banchiere miliardario Rishi Sunak, il partito conservatore al timone del paese da dodici anni e nel bel mezzo di una congiuntura economica ritenuta la peggiore nella memoria recente, spera di aver trovato uno capace di guidarli, almeno verso una dignitosa sconfitta, ad evitare lo sbaraglio elettorale che tutti i sondaggi prevedono.
Una buona parte del Paese è passata dalla Brexit alla‘Bregret’ (Brexit + regret, rimpianto), grigia crasi a segnare il finale autentico su quel divorzio all’europea. Secondo ‘Ipsos Mori’, a livello nazionale, il 45% degli intervistati pensa che Brexit stia andando peggio del previsto, con un più 28% del giugno 2021. E se il 66% degli elettori del ‘Remain’ nell’Unione lo ritiene come prevedibile un fiasco, lo stesso vale anche per il 26% degli elettori del ‘Leave’, i sostenitori dell’Exit ora pentiti. «L’accordo economico con l’Ue pronto per il forno» –declamava Johnson mentre guidava trattori in campagna elettorale- ma quel pasticcio di demagogia posta imperiale e bigie ora risulta immangiabile.
Il voto Leave, la voglia di partire della burocrazia inevitabilmente lenta da concordare tra 28 a Bruxelles, è stato più emotivo e quindi ideologico che dettato dalla razionalità economica, è l’analisi corretta oggi. Ma anche per questo il Regno sempre più precariamente Unito ‘fa amare spallucce’. «Get on with it!», Indietro non si torna. E chi vorrebbe, considerando il trauma appena trascorso. Chi vorrebbe anche in Europa e oltre Atlantico a cui sull’alleato obbediente i bordo Europa, fa tanto comodo.
I giornali neoliberisti filoeuropei ‘di sinistra’ sono pieni di liste di inadempienze/ritardi rispetto alla concorrenza ricordando quando, cinquant’anni prima, il Regno o Gran Bretagna se si preferisce, bussava alle porte di Bruxelles implorando asilo economico. Dopo aver sfinito gli interlocutori col «ve l’avevamo detto…» adesso invitano al realismo, ‘all’elaborazione del lutto’: – come dice il leader laburista Keir Starmer – «far funzionare Brexit» riavvicinandosi all’Ue per quanto possibile.
La colpa della miseranda performance economica letta da destra tutta e solo colpa di pandemia e guerra, dando doveroso spazio agli ortodossi della Brexit.