‘Civis romanus sum’ e la giustizia. Oggi a Budapest solo ‘saluti romani’

Raduno neonazi a Budapest, shock per l’immagine di Salis impiccata. E mentre Ilaria resta nel carcere di tra sporcizia e topi, la capitale di Orban accoglie neonazisti arrivati da tutta Europa che marciano indisturbati con croci uncinate.
In alto, sulle colline di Buda, il peggio racconta Sabato Angieri: elmetti svasati, aquile del Terzo Reich, uniformi e teschi, croci di stoffa e di ferro, granate persino. Tutto rigorosamente d’epoca. Epoca in cui a Budapest si fucilavano ebrei e rom a decine sul Danubio.
Intanto la presidente della repubblica Katalin Novak si dimette dopo aver graziato un pedofilo. L’ex ministra delle ‘politiche familiari’, aveva deciso di graziare un condannato per reati sessuali su minori. Strana Ungheria, amicizie politiche comprese.

Ma ‘C’era una volta’: «Paolo di Tarso, ossia san Paolo, ottenne di essere sottoposto ad un giusto processo a Roma facendo appello al proprio status di ‘cittadino romano’ ed evitò le punizioni corporali che altri avrebbero voluto infliggergli. Nel XIX secolo, a reclamare un equo trattamento per i propri cittadini, fu l’impero britannico».

«Civis romanus sum», ossia la protezione dei connazionali all’estero secondo gli imperi

Don Pacifico

Il 4 aprile 1847, ad Atene, nel corso delle celebrazioni della Pasqua ortodossa, una folla inferocita animata da furori antisemiti, saccheggiò la casa di Davide Pacifico (o ‘Don Pacifico’), console portoghese, nato però a Gibilterra e quindi anche suddito britannico. L’atto era di estrema gravità, tanto più che Pacifico svolgeva un incarico sotto protezione diplomatica, né aveva mai espresso sentimenti ostili nel confronti del popolo greco. Al saccheggio, nel corso del quale era stata malmenata anche la moglie, avevano preso parte non solo popolani, ma perfino gendarmi e soldati, tra i quali un figlio del ministro della guerra del regno di Grecia: la reazione della polizia alla denuncia di Pacifico e alla sua richiesta di risarcimento fu quindi tutt’altro che solerte.
Dopo vari inutili tentativi presso le autorità elleniche, Pacifico ricorse allora alla Gran Bretagna che, nella prima fase, fu estremamente cauta e si limitò a raccogliere dati e informazioni raccomandando al proprio rappresentante ad Atene di esercitare un certa pressione sulle autorità locali per risarcire Don Pacifico. La situazione in Mediterraneo era tra l’altro piuttosto delicata a causa dei protettorati inglese delle Isole Ionie risalente alle guerre napoleoniche ed altri piccoli episodi di incomprensione tra il regno di Grecia e la Gran Bretagna. Quando però Don Pacifico reiterò le lamentele al governo inglese la situazione degenerò rapidamente e si aprì un vera propria crisi di vaste proporzioni.

Il blocco navale britannico

Il 30 novembre 1849, scavalcando il primo ministro John Russel, il ministro degli esteri Henry Palmerston ordinò direttamente alla Royal Navy di appoggiare l’azione dell’ambasciatore ad Atene che chiedeva un risarcimento per Don Pacifico. Il vice ammiraglio William Parker, che si trovava già nello stretto dei Dardanelli, fece rotta allora verso le coste greche dove giunse l’11 gennaio 1850 intimando al governo greco di porgere le proprie scuse e di indennizzare Don Pacifico in ventiquattr’ore.
I quindici vascelli inglesi ebbero subito ragione della piccola flotta greca e cominciò un blocco navale del porto del Pireo: furono sequestrati infatti tutti i mercantili greci in transito, ma soprattutto si aggravarono le difficili condizioni economiche e finanziarie del regno di Grecia che praticamente si sosteneva con gli scarsi noli e commerci marittimi o con onerosi prestiti internazionali. A sostegno dei greci si schierarono Francia, Prussia e Russia, ma il blocco navale continuò fino alla metà di febbraio, quando si riunì una conferenza delle potenze interessate che tuttavia non produsse risultati.
Palmerston ordinò allora la prosecuzione del blocco e solo a questo punto il governo greco, terrorizzato per le conseguenze che avrebbero potuto avere altri ‘piccoli incidenti’ con la flotta inglese nei propri porti, capitolò accettando di presentare le scuse e di risarcire Don Pacifico. Ovviamente, a parte le cancellerie europee, nella stessa Inghilterra si levarono critiche violentissime nei confronti dell’operato di Palmerston e dall’opinione pubblica il dibattito si spostò in parlamento.

Palmerston e il diritto e dovere di tutela dei connazionali all’estero

Il vero nodo della questione era tuttavia giuridico e fu affrontato da Palmerston con un memorabile discorso di ben cinque ore nel quadro di un dibattito parlamentare ai Comuni durato quattro giorni e tre notti, dal 24 al 28 giugno 1850. Esordì subito precisando che il diritto-dovere di tutela dei connazionali all’estero potesse comunque – qualora necessario – eccedere i limiti dell’ordinamento altrui: secondo Palmerston si trattava di un’azione perfettamente compatibile «con gli interessi, i diritti, l’onore e la dignità» della Gran Bretagna, nonostante opinioni contrarie espresse dai Lords, ovvero l’altra camera del parlamento britannico.
La tutela dei connazionali da lui messa in atto si poneva infatti proprio nei confronti di sistemi di governo «arbitrary or dispotic», o dove il sistema costituzionale lo fosse solo «nominally», o dove regnasse la corruzione. Si doveva quindi valutare, caso per caso, il rispetto di uno standard accettabile di equità, valutazione esclusiva e discrezionale del governo britannico. Inoltre, poiché la Gran Bretagna era tra le potenze garanti dell’indipendenza greca, era nel suo pieno diritto tutelare lo stesso popolo greco per evitare che ricadesse sotto un regime peggiore di quello da cui si era liberato, ossia quello ottomano.
Proseguendo a definire il paese ‘disorganizzato’ e in preda a un brigantaggio endemico, lamentò anche che la polizia ricorresse a «barbarity» spesso ripugnanti e fosse connivente nel porto di Patrasso con un’organizzazione criminale che aveva oltraggiato (e derubato) equipaggi della Royal Navy. Non si trattava dunque di piccoli incidenti, ma dell’immagine stessa della Gran Bretagna nel mondo. Il resto lo fece appunto la citazione esplicita dell’episodio di san Paolo, ovvero «Civis romanus sum».

Palmerston dai Borboni

Interessante ricordare che, a conclusione della vicenda, la Gran Bretagna si conquistò la fama del paese europeo più sensibile alla questione dei diritti e della libertà negli altri stati: se nel 1848 Palmerston aveva infatti appoggiato le varie rivoluzioni liberali europee e soprattutto quella ungherese, nell’aprile 1851 Gladstone rese noto il contenuto di un rapporto che – dopo una visita alle carceri del regno delle Due Sicilie – definiva il governo borbonico «negazione di Dio eretta a sistema di governo», intervenendo così nel processo dell’Unità italiana e soprattutto facendo nascere una definizione che avrebbe fatto storia.
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