In Sudan la guerra vera è quella per l’oro. La guerra che nessuno ci racconta

Un paese da decenni martoriato da guerre civili, come quella in Darfur, e nel 2011 nella secessione e indipendenza del Sud Sudan. Ora la lotta per il potere fra l’esercito regolare del generale Abdel Fattah Al-Burhan e le forze speciali RSF del generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto ‘Hemetti’, a nascondere l’interesse di potenze straniere per i giacimenti di oro e petrolio del paese, e la sua posizione strategica di crocevia fra il Sahel, il Corno d’Africa e il Mar Rosso, fra Suez, cioè il Mediterraneo, e l’Oceano Indiano.

Il vero ‘si salvi chi può’

In due settimane gli scontri hanno provocato almeno 334.000 sfollati interni secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Più di 100.000 persone sono fuggite nelle nazioni vicine, tra cui Egitto, Ciad, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana ed Etiopia già un condizioni di crisi interna. «Il 29 aprile le RSF sostenevano di avere in controllo sul 90% dello stato regionale di Khartum», scrive Mirko Molteni su Analisi Mondo. Ma chi ci crede è perduto.

Oltre il potere cosa?

Nel Darfur, ad arricchire il caos, stanno ricominciando gli scontri fra arabi e neri. ‘Effetto domino’, temuto dal segretario Onu Guterres. E lì, sappiamo, ci sono le ricche miniere d’oro. Conseguenze geopolitiche in tutta la regione. Egiziani e sudanesi contro l’Etiopia del premier Abiy Ahmed, la cui ciclopica diga GERD, sul Nilo Azzurro, minaccia le loro già difficili produzioni agricole.

Il petrolio del Sudan

Pechino ha sempre contato sul Sudan come una discreta fonte di petrolio, nonostante il grosso dei pozzi sia rimasto sul territorio del secessionista Sud Sudan. Seguono nell’ordine, con cifre assai minori, Egitto, Arabia Saudita e Russia. Ma attenti, tra i fanalini di coda, anche Turchia e Stati Uniti.

Base navale per Mosca oltre La Siria

Il 9 febbraio 2023, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha siglato con Al Bhuran ed ‘Hemetti’ l’accordo per la costruzione di una base navale militare russa a Porto Sudan, il maggior sbocco del paese sul Mar Rosso. Guarnigione fissa di 300 militari, attracchi fino a 4 grandi navi o sottomarini anche a propulsione nucleare. La somma di Tartus, base in Siria, e una a Porto Sudan, cioè a Nord e a Sud di Suez. Tenaglia strategica perfetta.

Oltre ‘alle chiavi delle miniere d’oro del Darfur’ che sarebbero già ora nelle mani della ‘Wagner Group’.

Guerre in eredità

Per ben trent’anni, dal 1989 al 2019 il paese è stato sotto la dittatura del presidente Omar Al Bashir, forte dell’appoggio di correnti estremiste islamiche capeggiate da Hassan Al Turabi. Il dittatore affrontò due guerre interne per  assicurare alla componente arabo-islamica la supremazia sulle minoranze etniche di ceppo nero africano. Terrore per le popolazioni locali Fur, Masalit e Zaghawa e le bande di ‘Janjawid’, predoni a cavallo passati ai veicoli fuoristrada.

Solo in Darfur, dal 2003 al 2020, almeno 300.000 morti mentre si combatteva un’altra sanguinosa guerra nel Sudan meridionale, allora unito, dove i neri cristiano-animisti ottennero l’indipendenza nel 2011.

‘Janjawid’ le Rapid Support Forces

Proprio dagli agguerriti Janjawid ebbero origine le Rapid Support Forces, forze di supporto rapido, fondate nel 2013 ancora sotto il regime di Al Bashir. La dittatura crollò nel 2019 a seguito di crescenti manifestazioni popolari dovute alla crisi economica e Al Bashir venne rovesciato da un golpe e imprigionato dai militari.

Le forze in campo

Secondo il Military Balance 2023, le Sudan Armed Forces, escluse le RSF, sarebbero di circa 104.300 uomini. Gendarmeria e forze paramilitari comprendono altri 40.000 effettivi inclusa una divisione di Guardie di frontiera. Più o meno gli stessi effettivi attribuiti attualmente alle RSF. Altri 100mila se non addirittura 150.000. Un vero e proprio esercito ma senza aviazione.

Vecchi armamenti sovietici, Usa e cinesi

Sempre il Military Balance assegna alle forze sudanesi 465 carri da battaglia: 305 vecchi T-54 e T-55 ex-sovietici, 20 M-60A3 americani forniti dall’Egitto, con 70 più moderni T-72AV e diversi tank cinesi inclusi 60 Type 59. Forze aeree solo per l’esercito ufficiale, ma solo 60 velivoli da combattimento in gradi di volare. Museo con Mig 29, Su-24M/MR, aerei da attacco cinesi A-5 Fantan. E anche gli elicotteri volano poco, in un miscuglio di armamenti tra loro non intercambiabili.

L’ombra della PMC Wagner

Fin dai primi giorni del conflitto in Occidente s’è alimentata l’ipotesi del coinvolgimento della compagnia militare privata russa Wagner, implicata con rifornimenti di armi e munizioni al fianco di ‘Hemetti’ Dagalo e delle sue milizie RSF. Miliziani Wagner, fra 300 e 500, sono presenti nel paese come ‘istruttori’ dei militari locali, a partire dal 2017.

Concerto africano Wagner

Mercenari russi in Africa (dati non certi): in Libia 1.200, in Repubblica Centrafricana quasi 1.900 e in Mali almeno 1.000. Il 1 aprile la CNN, il gruppo investigativo ‘All Eyes on Wagner’, la società privata di foto satellitari Maxar e la società di analisi olandese Gerjon hanno divulgato immagini e informazioni che sembrano dimostrare il sostegno logistico della Wagner ai miliziani di Dagalo.

New York Times

Secondo il NYT, il vertice della Wagner avrebbe prima cercato di fare da mediatore tra i due generali sudanesi, ma sempre pendendo dalla parte di Dagalo, con cui condividerebbe l’affare delle miniere d’oro gestite dalla RSF. Fonti, ‘ufficiali americani sotto anonimato’.

‘Wagneriani’ in campo?

Resta il dubbio se i ‘wagneriani’ stiano combattendo sul campo, come segnalano la non affidabile testata I-News di Londra sulla base di indiscrezioni rilasciatele dai servizi segreti britannici. La testata i-News sostiene inoltre che la Difesa britannica sta preparando l’invio di due navi da guerra per imbarcare cittadini britannici, mentre anche il Foreign Office ha un nucleo operativo nella città marittima.

L’oro della Nubia

E qui la versione filo occidentale dei sospetti diventa prevalente. «E’ addirittura dal 2017, da quando governava ancora il dittatore Omar Al Bashir, che i russi guardano all’oro sudanese». Concessioni minerarie alla compagnia ‘M-Invest’ di San Pietroburgo. E come sostiene Washington –vatti a fidare-, la M-Invest agirebbe in Sudan tramite una sua società locale, la Meroe Gold.

L’ex segretario di Stato Usa

Già nel 2020 l’allora segretario al Tesoro USA, Steve Mnuchin dichiarava: «Evgenj Prigozhin e la sua rete stanno sfruttando le risorse naturali del Sudan per guadagno personale e per diffondere un’influenza maligna in tutto il mondo».

Stampa americana in campo

Tra giugno e luglio 2022, a guerra russo-ucraina già iniziata, molti media americani, su tutti il New York Times e la CNN, pubblicarono inchieste che ricostruivano il modo in cui i russi, contrabbandando fuori dal Sudan l’oro estratto dalla Wagner tramite le sue società, eludevano le sanzioni e in più aumentavano notevolmente l’entità delle loro riserve di lingotti.

L’oro sudanese

Pochi giorni prima dello scoppio delle ostilità fra i due generali, il 5 aprile 2023, il direttore della compagnia statale mineraria sudanesi aveva dichiarato che «nel 2022 sono state prodotte 41,8 tonnellate d’oro». Con circa 30 tonnellate mancanti all’appello

Allarmismi pericolosi e il Darfur

Allarmismi pericolosi su laboratori abbandonati con campioni di germi patogeni. Ma intanto riesplode il Darfur con violenze interetniche fra arabi e neri. Scontri a Geneina, capitale del Darfur.  Secondo il Sudan Tribune, i protagonisti degli scontri non sarebbero i due eserciti contrapposti, ma civili Masalit e arabi, con la morte di 90 persone e la fuga di migliaia in Ciad.

L’operazione di evacuazione italiana

Il problema di migliaia di cittadini stranieri e della loro evacuazione. Solo degli Stati Uniti sarebbero ben 16.000, dei quali però la maggior parte è costituita da statunitensi di origine sudanese muniti di doppio passaporto.

I cittadini della Gran Bretagna sarebbero circa 4.000, mentre quelli di paesi membri dell’Unione Europea sono stati stimati in circa 1.500, fra i quali 200 italiani.

 

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