Le reazioni di Pechino, alle accuse di ‘coercizione economica’, avanzate dall’Occidente. I cinesi sanno benissimo che il copione è scritto a Washington, e lì colpiscono. La denuncia politica, ma soprattutto i fatti. Subito un assaggio di ‘coercizione economica’ di rimbalzo: il governo cinese ha messo al bando prodotti della Micron Technology, il gigante americano specializzato nella produzione di “chip di memoria”. Secondo le autorità di Pechino, questi semilavorati ad altissimo valore aggiunto (componenti-base dell’industria elettronica) sarebbero un pericolo per la sicurezza nazionale. Il bis rovesciato delle affermazioni di Biden affidato alla Cyberspace Administration of Chins, che controlla la circolazione delle componenti ad alta tecnologia. Le azioni della società americana sono già crollate di oltre il 5%.
Gli esperti sostengono che i cinesi potrebbero gradualmente sostituire le aziende americane con prodotti in arrivo da altri Paesi, come la Corea del Sud (Samsung, SK Hynix).
La politica americana comanda davvero tutto l’Occidente? la vera domanda politica di Pechino. Per cominciare, il vice Ministro degli Esteri, Sun Weidong, ha convocato l’ambasciatore giapponese, alleato Usa ma anche vicino di casa, per comunicargli ‘tutta la sua insoddisfazione’ per il comunicato finale del G7 e «perché Tokyo avrebbe agito come complice degli Stati Uniti». Pesanti anche le reazioni verso il Regno Unito, col premier Rishi Sunak accusato di ripetere «semplicemente a pappagallo, le parole di altri che fanno calunnie dolose, in disprezzo dei fatti». Ma la dichiarazione che taglia la testa al toro, e che fa capire fino a che punto si siano deteriorate le relazioni tra la Cina e l’Occidente, è quella contenuta nella velina del Ministero degli Esteri di Pechino: «Gli Stati Uniti sono i veri coercitori che politicizzano e armano le relazioni economiche e commerciali, attraverso sanzioni unilaterali, sforzi di disaccoppiamento e interruzioni della catena di approvvigionamento produttiva».
Con l’agenzia di stampa Xinhua che ha rincarato la dose, dicendo che gli altri membri del G7 «si comportano come mezzi complici e mezze vittime, nella cricca guidata da Washington».
Sgarbi d’assaggio, non ancora conseguenza del G7, la cui compattezza nei fatti, sarà tutta da verificare. Interessi nazionali, sempre e comunque e prevalere. L’esempio di Micron. La Francia fattura in Cina quasi 3 miliardi e mezzo di dollari, oltre ad avere anche impianti di produzione attivi nella regione. Ora è stato annunciato che Micron investirà 500 miliardi di yen (3,6 miliardi di dollari) in Giappone per impiantare una mega-fabbrica di semiconduttori. E nell’ambito della guerra commerciale scatenata (ma non dichiarata) dall’Occidente contro la Cina. Per fortuna, più che alla guerra, siamo ancora al mercato delle convenienze. Chi offre di più?
In termini strategici, questo è uno scontro dal quale ha da perdere tutto il pianeta. E trovare un punto d’intesa sembra difficile, perché esistono troppi condizionamenti ‘domestici’, per ognuno quelli di casa sua. Eppure, scrive speranzoso il Financial Times, il Consigliere Usa per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha detto dopo il G7 che «le conclusioni del vertice non influenzeranno la riprogrammazione del viaggio di Blinken in Cina. O quelli del Segretario al Tesoro, Janet Yellen, e della responsabile del Commercio estero, Gina Raimondo». Un messaggio chiaro, che fa capire come, al di là delle posizioni ‘di gruppo’, assunte ufficialmente per tenere assieme gli alleati, ci sia una diplomazia parallela. Bilaterale. Dove Washington e Pechino discutono i destini del mondo, senza che Nato o G7 (che già poco sono e fanno da soli) ci mettano il naso.
Per il politologo Wu Xinho, dell’Università di Shanghai, il vero confronto è questo. Però, aggiunge lo studioso, «non mi aspetto grandi progressi, perché con le elezioni presidenziali americane del 2024, l’agenda di Biden sulla Cina verrà guidata dalla politica interna».
Biden rilancia sull’Ucraina per paura della Cina nella guerra dei microchip