Ci risiamo. In un Paese profondamente spaccato, come gli Stati Uniti di oggi, l’ex Presidente Trump trova sempre il modo per restare al centro della scena. E per rilanciare. Sfruttando qualsiasi occasione per travestirsi da ‘perseguitato politico’, ‘The Donald’ spera così di accaparrarsi simpatie e compassioni dell’America ‘indecisa’, quella che determinerà l’esito delle elezioni del 2024, quando si voterà per la Casa Bianca. Inquadrata così, l’ultima notizia che lo riguarda, relativa un suo possibile arresto, va presa con le pinze e analizzata sotto un microscopio. Dunque, a dirla tutta, si tratta (apparentemente) di un gigantesco ‘affaire … di cartone’.
Trump, per la serie ‘il lupo perde il pelo ma non il vizio’, con un messaggio sui social ha chiamato a raccolta le sue truppe, perché teme di essere arrestato. «Protesta, riprendiamoci la nostra nazione», ha scritto l’ex Presidente, dopo essere stato informato che per lui potrebbero arrivare le manette. Naturalmente, i giornali americani già sono pieni di commenti e osservazioni sull’argomento, mentre il Congresso è in subbuglio. Soprattutto, perché la vicenda è sinceramente sproporzionata e, condotta maldestramente, sta finendo per fare un gran favore a Trump. L’accusa sembra più quella rivolta al contabile di una drogheria che a un ex Presidente degli Stati Uniti: falsificazione di documenti aziendali.
In pratica, una società messa in piedi da Trump, per la sua campagna elettorale nel 2016, avrebbe pagato 130 mila dollari a una escort, per non farle rivelare una precedente relazione col ‘campione del moralismo peloso’. Ma siccome in America (e in certe aree politiche) le ‘società della temperanza’, le sette evangeliche assortite, assieme a il mito della ‘casa nella prateria’, pesano assai nel giudizio popolare, la signora sarebbe stata indennizzata adeguatamente per tenere la bocca chiusa. Pagata in nero, come la ‘delicatezza politica’ del caso forse imponeva. Ma non per il fisco. La voce ‘escort’ non risulta dai libri contabili. E da quelle parti, chi non paga le tasse, ma anche chi non registra spese ‘elettorali’, fa la fine di Al Capone.
La vicenda è vecchia ed era stata messa da parte, per motivi di opportunità. Intanto, il reato federale si prescrive in 2 anni e poi, a parte qualche testimonianza tutta da verificare, diventava difficile provare che Trump avesse ordinato di pagare in prima persona. Inoltre, l’accusa non è stata fatta da un giudice federale, ma da un procuratore distrettuale. Quello di Manhattan, New York, di nomina democratica. In effetti, il giudice Alvin Bragg, per incastrare, a questo punto a tutti i costi, Trump, pare che abbia fatto un’acrobazia giuridica, come sostiene il Wall Street Journal. Cioè, ha accoppiato al reato di falsa certificazione aziendale, anche quello di violazione della legge (molto severa) che regola il finanziamento delle campagne elettorali. Secondo il procuratore, non contabilizzare i soldi spesi per le ore allegre passate da Donald con la signora, al fine di comprarne il silenzio, avrebbe fatto guadagnare dei voti a Trump, evitando che si danneggiasse la sua immagine davanti agli elettori.
D’altro canto, per rendere conto e ragione del grado di imbarbarimento della vita politica Usa, va aggiunto che anche la storia dei documenti classificati di Mar-a-Lago sembra finita in una bolla di sapone. Come pure le presunte influenze russe sull’elezione di Trump nel 2016: le Agenzie per la Sicurezza (Fbi, Cia, Direttorato dell’Intelligence) e i vari giudici federali hanno smentito tutto. Le uniche cose su cui bisognava concentrare gli attacchi a Trump erano la sua strategia politica, la concezione che ha della democrazia e il ruolo avuto nella rivolta del 6 gennaio contro il Congresso. Ora l’ennesimo assalto a Trump, un personaggio abbondantemente squalificato anche all’interno del Partito Repubblicano, paradossalmente potrebbe finire per rafforzarlo. Togliendo dal ‘range’ delle Primarie candidati meglio predisposti al dialogo. I sondaggi, che già imperversano, parlano chiaro: se si votasse domani, Trump potrebbe addirittura avere molte possibilità di battere Biden.
L’ultima puntata della tragicommedia politica che vede protagonista l’ex-Presidente, tra le altre cose, arriva in un momento molto delicato per il Grand Old Party, che da oggi sarà in convention, per definire programmi e strategie. Almeno metà del partito è con Trump. E ai deputati Repubblicani, che controllano la Camera, potrebbe essere dato il mandato di mettere sotto assedio la famiglia Biden. Aprendo (o portando avanti) le inchieste sulle attività del figlio Hunter e avviando una procedura di impeachment per lo stesso Presidente (per esercizio di influenze connesse alla carica).
Chi potrebbe guadagnare da questa fase di terribile confusione politica? Un nome a caso: RonDeSantis.