
Si tratta ma intanto si reprime e si uccide. Secondo giorno di colloqui a Yevlakh, in territorio azero e la situazione per gli oltre 100mila armeni residenti nell’ormai defunta Repubblica dell’Artsakh, l’entità separatista filo-armena del Nagorno-Karabakh, resta disastrosa. «Le forze armate azere hanno catturato 150 civili dal villaggio di Taghavard» si legge nel rapporto della Caritas, «e ci sono anche notizie non confermate di uccisioni di massa. Esiste un rischio crescente che la popolazione pacifica venga sottoposta a massacri».
«La maggioranza della popolazione vuole essere evacuata in Armenia. Non possiamo vivere con l’Azerbaigian», una delle testimonianze riferite sul Manifesto Sabato Angieri. Ma il premier Nikol Pasinyan fissa le quote: «Erevan è pronta ad accogliere fino a 40 mila sfollati, se necessario». Non è chiaro cosa sarà degli altri se non potranno andare in Armenia, visto che si tratta per lo più di persone non abbienti che da mesi vivono sottoposte a privazioni di ogni genere. Intanto nella capitale armena, continuano le proteste contro le scelte del governo di abbandonare l’Artsakh al suo destino.
«Il prossimo Natale le campane di molte chiese del Nagorno-Karabakh non suoneranno più. Da due giorni e due notti arrivano ai posti di blocco i profughi della minoranza cristiana armena definitivamente scacciata. Discendono dai passi montani a centinaia, mentre i soldati azeri diffondono sui canali Telegram le immagini del loro ingresso in alcuni villaggi sperduti: sparano raffiche di mitra contro le case abbandonate dai cristiani armeni». L’inviato di Avvenire, Nello Scavo, sottolinea l’aspetto religioso di un dramma in itinere con un percorso tortuoso e di origini lontanissime.
Il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani sottolinea allarmato che l’Azerbaijan è un «partner importante perché lavoriamo insieme contro i trafficanti di esseri umani», e noi che pensavano di commerciare solo in petrolio! «Inizialmente legata ai settori energetici, la collaborazione tra Italia e Azerbaijan si estende anche ai prodotti dell’industria della Difesa grazie al prezioso contributo offerto dal gruppo di lavoro del ministero della Difesa italiano», si legge nella nota stampa di Leonardo diffusa l’8 giugno 2023.
«Turchia e America dentro, Russia e Iran fuori. Il bilancio dell’ultimo round di combattimenti nell’arena caucasica è impietoso», denuncia Daniele Santoro su Limes. Con il sostegno militare e sentimentale all’Azerbaigian, Ankara è egemone nel Caucaso aprendosi la strada verso le Asie turche e la Cina, oltre alla prospettiva di riaprire la frontiera con l’Armenia, cercando forse di sanare la ferita del 1915, il massacro-genocidio armeno da parte del morente impero ottomano.
«Il tutto con la benedizione di Washington, pronta ad accogliere nella propria orbita l’ex satellite russo, dove gli americani mantengono la loro seconda maggiore ambasciata al mondo per dimensioni. Senza muovere un muscolo. A riprova delle evidenti sinergie eurasiatiche tra la superpotenza e il suo irrequieto alleato turco».
La Russia esce invece con le ossa rotte dalla mischia caucasica, sostiene ancora Limes. «Certo di aver ormai perso l’Armenia, il presidente russo ha provato a salire goffamente sul carro azerbaigiano. Non riuscendo tuttavia a evitare lo sganciamento dell’Azerbaigian dall’orbita russa». Problemi anche per l’Iran con il Caucaso meridionale, snodo fondamentale per liberare Teheran dalla dipendenza logistica anatolica e per connettere l’altopiano iranico alla Russia. Oltre al potenziale impatto della riscossa azerbaigiana sulla vasta minoranza azera residente in Iran (almeno un quarto della popolazione).
Il trionfo di Baku consolida anche la proiezione caucasica di Israele, che ha eterodiretto e sostenuto militarmente le offensive dell’Azerbaigian almeno quanto la Turchia. Intesa suggellata dallo ‘storico’ incontro tra Erdoğan e Netanyahu a New York, avvenuto forse non casualmente in coincidenza della decisiva operazione militare azerbaigiana».