
Norvegese, 64 anni, Stoltenberg ha ringraziato per il rinnovo del mandato, spiegando che «l’alleanza transatlantica tra Nato e Nord America ha assicurato libertà e sicurezza per 75 anni e che, in un mondo sempre più pericoloso, la nostra Alleanza è più importante che mai».
Come si riesce a trovare un terreno comune tra un insieme di Paesi così diversi, che uniscono Stati Uniti, Europa orientale e meridionale, Scandinavia e Turchia, Gran Bretagna e Francia? Come si fa la storia? Trocino ricorre ancora a ‘The Atlentic’. «Innanzitutto -dice Applebaum-, non mettendosi mai al centro della storia, anche quando la storia parla di lui». E infatti Stoltenberg non parla di sé neanche quando accetta l’ennesimo mandato formalmente dalla Nato.
«L’altro modo per diventare Stoltenberg è crederci. Credere davvero che il mondo sia migliore con la Nato che senza». Ancora Applebaum: «Il segretario generale pensa che infiniti cicli di negoziati sulla politica delle alleanze siano utili, perché alla fine il risultato è un più forte senso di impegno. A chi dice che la Nato è meno efficiente, chiede: ‘Meno efficiente di cosa? Rispetto a cosa?’. È vero, se non hai la Nato, ‘non hai un processo decisionale lento’. Ma questo perché se non hai la Nato, non hai alcun processo decisionale, almeno non un processo decisionale collettivo».
Parafrasi del motto attribuito a Churchill: «La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora». Tradotto oggi: la Nato è la peggior forma di dialogo tra valori occidentali litigati, se non fosse che non ce ne sono altre.
Dice Stoltenberg, citando D’Artagnan: «Credo nella difesa collettiva. Credo in uno per tutti e tutti per uno. L’attacco a un alleato scatenerà una risposta da parte degli altri». Ma sempre al servizio del Re o della Regina di turno, direbbe Dumas. Stoltenberg insiste su quel Tutti, per quell’Uno imprecisato. «Tutti hanno bisogno di amici -commenta Applebaum-, anche gli americani». Amici, alleati, sudditi, a seconda della versione moderna dei nuovi ‘Moschettieri’.
Alessandro Trocino poi modera e riconosce meriti. Nel senso che Stoltenberg è stato eletto più volte nella sua vita. È stato scelto quattro volte dai capi di Stato della Nato, è stato due volte primo ministro laburista della Norvegia (dal 2001 al 2005 e dal 2005 al 2013). È figlio di un politico norvegese ed è cresciuto a colazione con i più grandi leader mondiali, Nelson Mandela compreso. Conosce il valore dei contatti personali. A volte, quando può, invita i leader nella sua cucina. Gira il mondo costantemente.
Ora lo aspetta il compito più gravoso, quello di trovare un accordo per l’adesione dell’Ucraina senza forzare troppo le regole dell’Alleanza vietata a Paesi in guerra. Ma il vizio è dalle origini. Era il 2008 quando qualcuno parlò dell’adesione Ucraina alla Nato e allora -dice l’americana Applebaum-, «si prese la peggior decisione possibile, perché si disse no all’adesione, ma senza escluderla per il futuro». Forse che si, forse che no, e «Questo ha lasciato l’Ucraina in una zona grigia, con l’aspirazione a unirsi all’Occidente ma senza alcuna garanzia di sicurezza occidentale».
Ora le cose sono cambiate. Per il momento, la Nato offrirà una serie di proposte per l’integrazione e aiuti militari a lungo termine. Stoltenberg è un appassionato difensore delle ragioni dell’Ucraina, e non solo per ragioni politiche, sostengono in molti.
Il segretario generale racconta che all’epoca della guerra fredda visitò l’Europa orientale comunista e rimase stupito: «Pensavo che fossero persone completamente diverse da noi. Avevano vestiti diversi, c’era un odore diverso. Era tutto davvero buio e così lontano. Ora vado a Riga o a Tallinn o a Vilnius e sono città alla moda e moderne, anche più moderne e creative che in Scandinavia». Poi l’illuminazione: «Le persone non erano diverse. Era solo la politica, erano le regole sotto cui vivevano. Mi vergogno di non essermene reso conto prima. E in una certa misura, ho fatto lo stesso errore sull’Ucraina».
C’è anche un ricordo familiare. Mostra la foto del nonno, 100 anni, ex capitano norvegese e poi prigioniero tedesco: «Gli ucraini – dice – stanno combattendo la stessa battaglia che abbiamo combattuto noi contro il nazismo». E opportunamente sorvola su qualche peccato su quel fronte politico. Se in molti dicono che, sul lungo periodo, Putin otterrà vantaggi, perché gli Stati Uniti e l’Europa si stancheranno di sostenere Kiev, Stoltenberg sostiene il contrario. Non a caso nel lessico della Nato sempre più spesso si trovano le espressioni «a lungo termine» e «permanente». Parole che sotto l’Europa baltica non piacciono affatto. Anche la sua proroga per il decimo anno sembra voler rassicurare sulla continuità e la resilienza degli occidentali. Ma non è detto. Troppe difficili elezioni politiche in casa occidentale e soprattutto Usa.
«Si può discutere, se l’avanzata della Nato sia stato un fattore reale di pericolo per la Russia e se la percezione di Putin di essere minacciato abbia accelerato la guerra, o se sia stata usata solo come una scusa». Ma, dice Anne Applebaum, «è già chiaro che la Nato ha fatto molto di più per aiutare l’Ucraina di quanto Putin si aspettasse una volta iniziata la guerra. Putin non solo ha sottovalutato l’Ucraina; ha anche sottovalutato gli ‘uomini multilaterali’, i funzionari che, come Stoltenberg e le sue controparti nell’Unione europea, hanno aiutato la Casa Bianca a mettere insieme la risposta militare, politica e diplomatica».
«Putin ha creduto alla sua stessa propaganda, la stessa propaganda usata dall’estrema destra transatlantica: le democrazie sono deboli, gli autocrati sono forti e le persone che usano un linguaggio educato e diplomatico non si difenderanno».
«Le democrazie si sono dimostrate molto più resistenti, molto più forti di quanto i nostri avversari credano», sostiene Stoltenberg. E le autocrazie sono più fragili. «Punto di vista militante per la democrazia anche se a ora, più che una certezza, rappresenta soltanto una speranza». È vero che le autocrazie sono solo apparentemente forti, e che possono implodere in un attimo, ma è anche vero che le democrazie per loro stessa natura sono permeabili e influenzabili (vedi le condizionanti presidenziali Usa che già oggi, più di un anno prima, condizionano la politica anche Nato).