
Erdogan e il nuovo Ministro dell’Economia Mehmet Simsek
YTL, Yeni Türk lirası, la divisa nazionale, in un anno, ha perso oltre il 20% del suo valore. Per non parlare dell’inflazione, oggi al 40%, che nel 2022 ha toccato vette dell’86%. I tassi di interesse sono stati tenuti artificialmente bassi, ‘per far crescere il Pil’. Ma l’unica cosa che è veramente esplosa è stata l’inflazione. Erdogan ha condotto una campagna elettorale, lunga due anni, fatta di sussidi, bonus e prebende. Ora, i nodi sono venuti al pettine e l’alternativa è tra il ‘bere o affogare’. Che, tradotto nei termini pratici della politica turca, significa cambiare strategia economica o decretare il fallimento del sistema-paese. E da subito si può anche cambiare il Ministro dell’Economia. Tanto, per rassicurare i mercati o, forse, aggiungiamo noi, più maliziosamente, per adeguarsi ai ‘suggerimenti’ di Wall Street e della City.
Spetterà a Mehmet Simsek cercare di fare il miracolo. Intendiamoci: il Presidente ha scelto l’usato sicuro, perché il nuovo Ministro è una sua vecchia conoscenza, ma soprattutto è un tecnico di valore, molto apprezzato dai mercati internazionali. Una prima curiosità, è che Simsek è curdo e con la doppia nazionalità, turca e britannica. Ha studiato ad Ankara e all’Università di Exeter, in Inghilterra, prima di lavorare, in posizione di rilievo, alla Merryll Lynch di Londra. Per un anno alla UBS di New York, ha poi ricoperto, per quattro anni, la carica di esperto economico all’ambasciata americana di Ankara. Giudicato come ‘molto ben visto’ dagli Stati Uniti, Simsek è una personalità che gode di grande prestigio presso le organizzazioni finanziarie internazionali, come ad esempio il Fondo Monetario o le altre Banche centrali. Un sostegno formidabile per Erdogan, insomma, che però lo aveva estromesso dal potere in circostanze poco chiare.
Simsek è stato uno dei teorici più importanti a elaborare le strategie macroeconomiche della Turchia, Nominato più volte Ministro, a partire dal 2007, è diventati un addirittura vicepremier tra il 2015 e il luglio 2018. Quella data ha segnato una svolta, perché coincide con le ‘aspettative’ (ma sarebbe meglio dire con le direttive) manifestate da Erdogan nei confronti della Banca centrale turca. In sostanza, i commentatori dicono che il Presidente si autoconvinse che sarebbe stato meglio adottare una politica monetaria non convenzionale, per controllare l’inflazione. Cioè, abbassare i tassi di interesse anziché spingerli al rialzo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Questa mossa non ortodossa spinse molti specialisti, tra cui lo stesso Simsek, ad abbandonare il ponte di comando di una nave irrimediabilmente diretta verso gli scogli.
Il fatto che adesso Simsek venga richiamato, comunque, non deve indurre subito a facili conclusioni. Erdogan sabenissimo che la Turchia, specie in questa fase storica, ha un peso geopolitico formidabile e cerca di sfruttare l’onda, per trarne il massimo profitto. Per questo, all’Economia riporta un Ministro gradito a Biden e all’Europa, ma senza troppo clamore, continua a fare la sua politica ‘dei due forni’ tra Washington e Mosca, e oltre. Gli esempi arrivano dal Golfo Persico, dove Ankara porta avanti una realpolitik senza remore. Ha ricucito i rapporti con l’Arabia Saudita e anche quelli con gli Emirati.
Le ultime notizie parlano di colossali progetti, per 90 miliardi di dollari complessivi. Quasi un centinaio di imprenditori turchi hanno discusso con Saudi Aramco la possibilità di prendere parte ai lavori per la realizzazione di infrastrutture energetiche, come raffinerie, oleodotti, gasdotti ed edifici di gestione. Mentre l’interscambio con Abu Dhabi dovrebbe raddoppiare. Nel frattempo, i rapporti tra Ankara e Riad sono tornati a buoni livelli, soprattutto dopo che la giustizia turca ha deciso di rinviare tutti gli atti, relativi all’omicidio del giornalista Khashoggi, alla magistratura saudita.
Questo ha consentito al principe ereditario, Mohammed bin Salman, di uscire praticamente indenne da un eventuale processo. Di cui, peraltro, non si ha notizia. L’anno scorso, il principe bin Salman ha concesso un prestito a ‘tariffe agevolatissime’ di ben 5 miliardi di dollari alla Turchia.
Secondo Soner Cagaptay del Washington Institute, «aumenti salariali, remissione di prestiti e crediti a buon mercato. E con tutto il resto, si potrebbe dire che, insieme, Putin e le monarchie del Golfo hanno aiutato Erdogan a vincere le elezioni».