Il Pentagono intende focalizzarsi in particolare sulla produzione di missili e munizioni, messa sotto stress dalla guerra d’Ucraina. Sono infatti ben 30,6 miliardi di dollari i fondi stanziati per tale categoria, ovvero quasi il 12% in più di quanto stanziato nel 2022. Secondo i funzionari, il provvedimento è volto a contrastare l’aggressività di Cina, Russia e Iran. Soprattutto, serve a preparare l’America a una potenziale “guerra vera”. Un terzo della richiesta di finanziamento per le munizioni è destinato ai vettori a lungo raggio, compresi missili ipersonici e armi subsoniche.
Nel frattempo, l’esercito Usa continua a ridursi. A testimoniarlo è la sua più recente richiesta di bilancio, che prevede il finanziamento di 452 mila militari in servizio attivo, 325 mila appartenenti alla Guardia nazionale e 174 mila riservisti. Si tratta di un calo di 21 mila soldati attivi rispetto alla richiesta iniziale del 2022 di 473 mila effettivi.
La Francia si appresta a riportare a casa una ventina di produzioni industriali militari. A partire dalla produzione di polvere da sparo per i proiettili di artiglieria calibro 155 mm già annunciata a febbraio 2023. L’Esagono tornerà inoltre a produrre in patria scafi di imbarcazioni (prodotti finora in diversi paesi dell’Europa dell’Est), munizioni di grosso calibro (prodotti in Svezia, Italia o Germania) e componenti per motori di elicotteri (sviluppati finora negli Usa e assemblati nel Regno Unito). Presto questi passaggi saranno realizzati integralmente in Francia, in parte nello stabilimento Aubert & Duval presso Puy-de-Dôme (Alvernia).
Il progetto verrà lanciato entro quest’anno ma la produzione non inizierà prima del 2025. Secondo una nota del ministero delle Forze armate di Parigi, i costi fisiologicamente aumenteranno «ma saremo meno dipendenti».
I leader di Stati Uniti, Regno Unito e Australia hanno annunciato a San Diego i dettagli sulla compravendita di sottomarini a propulsione nucleare, pilastro del patto Aukus annunciato 18 mesi fa, segnala Mirko Briganti su Limes. Canberra si impegna ad acquistare entro l’inizio del prossimo decennio dai 3 ai 5 sottomarini americani classe Virginia – probabilmente di seconda mano e previa approvazione del Congresso Usa – per sostituire i propri obsoleti sommergibili Collins. Il costo dell’operazione è di circa 3 miliardi di dollari per naviglio. Personale della Marina australiana sta già ricevendo l’addestramento necessario nei sottomarini statunitensi.
Australia e Regno Unito inizieranno poi lo sviluppo e la costruzione di una nuova classe di sottomarini – denominata ‘Ssn-Auku’s – con il supporto e la tecnologia degli Stati Uniti. Il varo è previsto per lontani anni Quaranta. Tra una trentina d’anni, se va bene, produzione di un sottomarino ogni due anni, e una montagna di soldi in meno. Il costo stimato, da un minimo di 268 a un massimo di 368 miliardi di dollari australiani (tra i 167- e 229 miliardi di euro), includendo gli 8 miliardi (5 miliardi di euro) necessari all’ammodernamento della base navale di Stirling nell’area metropolitana di Perth (Australia Occidentale), dove a partire dal 2027 saranno ospitate a rotazione quattro unità navali Usa e una britannica.
Il programma prevede che il progetto ‘possa generare 20 mila posti di lavoro nell’arco dei prossimi trent’anni’. Promessa impossibile da verificare. Considerando che l’attuale budget dell’intera difesa australiana arriva a 48.6 miliardi di dollari australiani (2,11% del pil), l’aggiunta di ulteriori 11 miliardi annui sarà una vera e propria sfida finanziaria. «Trattandosi del più grosso investimento mai fatto nella storia della difesa australiana, sarà anche oggetto di intenso dibattito pubblico», la facile previsione di Limes.