Anche il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha manifestato la stessa preoccupazione di Guterres. Ora in Israele, Blinken, come riporta Haaretz, si sarebbe rivolto al premier Netanyahu e al Ministro della Difesa, Gallant, chiedendo chiarimenti sulla prevista offensiva dell’IDF nell’estremo sud di Gaza. Gli americani sanno bene, infatti, che qualsiasi massiccia operazione militare in un quadrante di territorio così limitato, potrebbe risolversi in un bagno di sangue. A maggior ragione in un momento in cui i colloqui, per una tregua prolungata dei combattimenti, sembrano essersi incagliati.
Rafah è, di fatto, l’angolo più meridionale della Striscia, a ridosso del confine con l’Egitto. Quando è cominciata l’operazione militare contro Gaza, la strategia israeliana è stata quella di cominciare da nord, spingendo progressivamente la popolazione in direzione sud, ‘verso aree sicure’. Una salvaguardia annunciata sulla carta, che però non c’è mai stata: i civili hanno continuato a essere bombardati e presi di mira, anche mentre si spostavano o quando raggiungevano accampamenti precari. Abbiamo chiamato questo piano come la ‘Tattica del tubetto del dentifricio’. Vuotare la Striscia, ‘spremendo tutta la popolazione verso sud. Mentre il resto di Gaza veniva sistematicamente spianato.
Un’analisi comparativa satellitare, proposta da ‘BBC Verify’, certifica ciò che diciamo, sul dramma che incombe su Rafah. «L’ultimo cambiamento pronunciato a Gaza che può essere visto dall’alto – dice lo studio – e la proliferazione di tende e di altre strutture temporanee per ospitare gli sfollati nel sud. Le aree delle nuove tende, sorte tra il mese di dicembre e l’inizio di gennaio vicino al confine egiziano, coprivano un’area pari a circa 500 campi di calcio». In questo lembo della Striscia, vive ormai gran parte dei rifugiati palestinesi nel sud di Gaza, quelli che non hanno trovato pace nemmeno a Khan Younis.
«Le immagini satellitari – sostiene la BBC – mostrano un cambiamento drammatico: ora quasi ogni pezzo di terreno accessibile e non edificato, in un’area a nord-ovest di Rafah, è stato trasformato in un rifugio per gli sfollati». Insomma, ci troviamo in un’area dove la densità abitativa è così elevata, che i ‘danni collaterali’ della guerra possono essere ancora più devastanti di quanto lo siano stati finora. Il britannico Guardian sintetizza il dramma dei profughi, dopo un esodo biblico che li ha riportati al punto di partenza, cioè a tornare a sfidare la morte sotto i bombardamenti: «La nostra ultima fermata è Rafah» -scrive il giornale – aggiungendo che così si esprimono i palestinesi, mentre aspettano l’assalto finale israeliano.
«I rifugiati – scrive ancora il Guardian – stipati nella città di confine, devono affrontare una scelta terrificante: restare per l’attacco previsto oppure fuggire di nuovo a nord, riattraversando le zone di guerra». Un destino folle e miserabile nello stesso tempo, determinato dai capricci della storia. Ma, prima ancora, certamente esasperato dalla tragica pochezza di statisti, incapaci di utilizzare le armi che contano di più: quelle della diplomazia.