La Savak torturatrice dello Scià di Persia, prima del mattatoio Iran versione Ayatollah

Quarto mese proteste popolari e di repressione violenta e condanne a morte da parte di un regime che cerca di coprire il suo fallimento politico attraverso la ferocia. Torture ed esecuzioni, nella peggior memoria dello Scià e della Savak, polizia segreta modello Gestapo, anche se interpretata con la crudeltà caricaturale della ‘Polizia morale’.
Ultima efferatezza nota, ‘Curava manifestanti in Iran, dottoressa torturata a morte’.
Aida Rostami, che ha curato a Teheran i manifestanti feriti.
Per la polizia ‘deceduta in un incidente’.
Oggi, memoria necessaria, ritorniamo alle efferatezze della Savak imperiale di cui molto il nostro occidente democratico avrebbe ancora da vergognarsi. La famigerata polizia segreta iraniana che operò dal 1957 al 1979.
Ferocia chiama ferocia, e quasi come monito per l’attualità in Iran, Giovanni Punzo ci ricorda che nessuno dei quattro capi della Savak morirono per cause naturali. Memoria utile per i torturatori di oggi.

Aida Rostami, la dottoressa uccisa che curava i manifestanti feriti

Savak, la polizia segreta figlia di Cia e MI5

La Savak, ancora oggi considerata uno dei più brutali e feroci servizi di sicurezza mai esistiti, fu fondata ufficialmente nel 1957 dall’unificazione di altri servizi esistenti. La prima fase organizzativa fu fortemente influenzata dalla CIA e in misura minore dall’intelligence britannica: del resto Stati Uniti e Gran Bretagna avevano già collaborato alla destituzione del primo ministro Mossadeq avvenuta con il colpo di stato del 1953.
Il primo comandante fu il generale Teymur Bakhtiar, nato nel 1914, che aveva frequentato un’esclusiva scuola privata a Beirut e poi la prestigiosa accademia militare francese di Saint-Cyr. Dopo la conclusione della II Guerra mondiale Bakhtiar aveva combattuto nella guerriglia nel nord dell’Iran, ancora occupato da reparti dell’Armata Rossa, e preso parte alla ‘pacificazione’ della regione di Khamseh, popolata da tribù nomadi restie ad obbedire allo shah. La sua carriera da allora aveva spiccato il volo: nel 1953 divenne governatore militare di Tehran e in questa veste fu tra gli organizzatori del processo farsa al deposto primo ministro Mossadeq.
Fu in pratica capo dei diversi servizi segreti e dei corpi speciali prima ancora della stessa fondazione della Savak, distinguendosi soprattutto nella repressione dell’opposizione (primi fra tutti i comunisti del Tudeh), ma ebbe un incidente di percorso nel 1961: aspirando alla carica di primo ministro, prese contatto con l’ambasciata americana per organizzare un golpe contro il primo ministro in carica.
Malauguratamente l’ambasciatore avvertì però Reza Pahlavi; alle dimissioni seguì un dorato esilio prima in Europa e poi in Libano. Nel luglio 1970 un gruppo di sicari della stessa Savak lo assassinò in Iraq.

Breve interregno prima della pagina più nera

Bakhtiar fu sostituito dal suo vice, Hassan Pakravan, che mise un freno alle torture indiscriminate (almeno alle peggiori tra le tante praticate) e tentò un contatto diretto con l’opposizione religiosa, ovvero Ruhollah Khomeini: in seguito – si disse – sconsigliò lo stesso shah dal condannarlo a morte con pubblica esecuzione e sappiamo che l’ayatollah fuggì poi all’estero. Anche Hassan Pakravan, accusato di non aver impedito un attentato al primo ministro, nel 1965 fu però rimosso e sostituito da Nematollah Nassiri che fu a capo del servizio fino al 1978.
Il lungo periodo di Nassiri fu probabilmente il peggiore nella storia della Savak, soprattutto perché Nassiri – che aveva frequentato la stessa scuola di Reza Pahlavi – godette a lungo della sua fiducia incondizionata. Fu durante il periodo di Nassiri che la Savak ebbe la sua massima espansione, conducendo operazioni fuori dai confini (come ad esempio la sorveglianza degli oppositori e l’infiltrazione in gruppi studenteschi) ed eliminando il suo stesso fondatore Bakhtiar.
Ultimo in ordine di tempo fu Nasser Moghaddam che rimase in carica poco più di sei mesi, ovvero tra il giugno 1978 e febbraio 1979, quando cioè il regime crollò. Pakravan, Nassiri e Moghaddam furono arrestati, ma la loro sorte fu segnata dalla caduta del governo Bakhtiar e dall’ascesa al potere dell’alla estremista religiosa. Tutti e tre furono infatti condannati a morte da un tribunale rivoluzionario riunito nella scuola di Refah a Theran e giustiziati; anche Pakravan, nonostante durante il processo fosse emerso con chiarezza che Khomeini era potuto fuggire all’estero grazie a una sua ‘disattenzione’.

Da Berlino a Nairobi

In Iran, come è noto, la repressione di ogni forma di opposizione fu estrema, condotta con efferatezze inenarrabili, e accompagnata dalla schedatura sistematica di ogni iraniano che si accingesse a ricoprire incarichi di responsabilità pubblici, nell’industria, nella ricerca, nella finanza o nel commercio. La polizia segreta non mancò ovviamente di esercitare ogni forma di censura possibile sui media, come pure il controllo di associazioni o sindacati.
Anche all’estero però la Savak fu molto attiva. Un primo segnale si ebbe nel 1967, nel corso della visita di Reza Pahlavi a Berlino ovest, quando esplose una forte contestazione studentesca: si parlò infatti di agenti provocatori infiltrati all’interno del movimento e l’imbarazzo della scelta fu tra la Stasi della DDR e la Savak. Inoltre non si deve dimenticare che, durante la Guerra fredda, anche un alleato imbarazzante poteva essere utile, sia per la vicinanza geografica dell’Iran all’Unione Sovietica, sia nel timore di attività comuniste in Medio Oriente.

A metà degli anni Settanta infatti fu concluso una sorta di accordo con altri servizi (Francia, Marocco, Egitto e Arabia Saudita) allo scopo di ostacolare qualsiasi forma di presenza sovietica in Africa e fermare i movimenti di guerriglia in azione dall’Angola al Mozambico, dall’Ogaden allo Zaire. Al Safari Club (albergo di Nairobi dove si tennero alcune riunioni) gli Stati Uniti ‘ufficialmente’ non aderirono mai, mentre Sud Africa, Rhodesia e Israele smentirono. La sola Algeria, interpellata e corteggiata, si rifiutò categoricamente.

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