Il giornalismo di Israele ‘prigioniero di guerra’ con poche eccezioni

«Come i notiziari televisivi si sono uniti allo sforzo bellico contro Gaza», titola Pagine Esteri, rilanciando uno studio sull’informazione giornalistica in Israele al quinto mese di guerra, che è più modello ‘Tg meloniani’ nostrani che il coraggioso Haatetz. Analisi impietosa a firma di Eyal Lurie-Pardes, studioso di affari israelo-palestinesi al Middle East Institute e già consigliere parlamentare alla Knesset.

Notiziari televisivi parte dello sforzo bellico contro Gaza

Il resto del mondo sommerso dalle immagini delle brutalità della guerra a Gaza e commosso dai bambini palestinesi alla ricerca di cibo e acqua. Immagini semi ignote sui media israeliani. La maggior parte dei notiziari raramente aggiorna il numero di vittime palestinesi – che ha superato i 30.000 – né informa i propri spettatori che circa il 70% delle vittime dell’offensiva israeliana sono donne e bambini.

Tutto nasce dall’attacco di Hamas, e lì ferma

Ogni giorno c’è una nuova angolazione sugli eventi del 7 ottobre. In un’intervista al New Yorker, Ilana Dayan, una delle più apprezzate giornaliste israeliane: «Siamo bloccati al 7 ottobre». Oren Persico, collaboratore di The Seventh Eye, rivista investigativa: «C’è un circolo vizioso in cui i notiziari si astengono dal mettere il pubblico di fronte a scomode verità e, di conseguenza, il pubblico non la chiede».

La linea sottile tra propaganda e giornalismo

Negli ultimi cinque mesi, i media e in particolare i notiziari televisivi, si sono fatti incarnazione del patriottismo israeliano. Definiscono ciò che è di interesse pubblico e presentano solo una certa verità ai cittadini. I media sono diventati parte di un ciclo di lettori/ascoltatori sempre più nazionalisti e militaristi, avidi di notizie che celebrano la guerra omettrndo la copertura dei suoi costi.

La trasformazione del panorama mediatico

Fino agli anni Duemila, l’informazione televisiva generalista era considerata una roccaforte dell’élite sionista laica e liberale che controllava le emittenti pubbliche finanziate dal governo, e successivamente del Canale 12 e del Canale 13, privati. Rivolti generalmente a un pubblico centrista, raramente criticavano l’occupazione israeliana, il movimento dei coloni o le violazioni delle forze di sicurezza.

Carta stampata percorsi simili

Atteggiamenti simili nei media scritti, con la notevole eccezione del quotidiano di sinistra Haaretz, che pubblica un giornalismo più rigoroso sulle questioni palestinesi. Ma, nonostante l’alto riconoscimento di cui gode all’estero, Haaretz ha un pubblico israeliano limitato: circa il 5% dei lettori di giornali locali.

Il terremoto Netanyahu col peggio attorno

Fin dal primo mandato di Netanyahu premier, fine degli anni ’90, l’attacco ai media è stato sistematico, anche i più moderati definiti di estrema sinistra e inaffidabili. (L’ossessione per i media è alla base delle accuse di corruzione che sta affrontando, tutte legate ai suoi tentativi di influenzare i media per ottenere una copertura lusinghiera).

Giornali direttamente di regime

Nel 2007, Netanyahu ha convinto Sheldon Adelson a fondare il quotidiano gratuito Israel Hayom, che gradualmente è diventato il giornale più letto in Israele. Fino alla morte di Adelson, avvenuta qualche anno fa, e ai successivi cambiamenti nella sua redazione, il giornale era scopertamente favorevole a Netanyahu.

L’ecosistema Tv, ‘Fox News’ e giornalisti arruolati

Sotto il controllo del Likud, il Ministero delle Comunicazioni ha permesso a Canale 14 dedicato al ‘patrimonio culturale’ (programmi sull’ebraismo), di trasformarsi in ‘All News’, e una versione israeliana di Fox News. Cambiamenti anche sul percorso formativo e culturale dei giornalisti. Più di destra, soprattutto sulla questione palestinese, con giornalisti sionisti religiosi, molti dei quali coloni.

‘Bibisti e non-Bibisti’

Persico, di The Seventh Eye, ha affermato che questi cambiamenti «creano due universi paralleli, divisi tra Bibisti e non-Bibisti». E sui canali governativi «le dichiarazioni di incitamento che una volta si sentivano solo nelle prediche settimanali delle sinagoghe religiose sioniste possono ora essere ascoltate da importanti redattori e giornalisti».

Abbracciare la propaganda

Dopo la guerra di Gaza del 2014 – in cui sono stati uccisi 68 israeliani e oltre 2.200 palestinesi – Dana Weiss, firma di Channel 12, lamentando che i media israeliani dovevano dare più voce ai palestinesi nella Striscia, aveva avvertito: «La propensione degli israeliani ad ascoltare le domande difficili sta svanendo». Nel clima nazionalista creati all’indomani del 7 ottobre, la copertura della devastazione che Israele sta scatenando a Gaza è introvabile.

Hasbara in Israele

Fin dall’inizio della guerra, i canali televisivi hanno guidato lo sforzo di hasbara in Israele. Hasbara -in ebraico ‘spiegare’- è usato per descrivere il sostegno a favore di Israele, ma è essenzialmente un discorso ambiguo di propaganda. ‘Elementi di hasbara’ compaiono in ogni canale televisivo.

Solo Hamas e nessuna crisi umanitaria

Come parte di questa hasbara, in tutte le reti di informazione ufficiali e governative Israele è vittima, e questo vittimismo non lascia spazio alla sofferenza dei palestinesi di Gaza, né alla crisi umanitaria che stanno affrontando. Raramente documentano le rovine di Gaza o l’entità degli sfollamenti e delle distruzioni. Quando lo fanno, la responsabilità di queste perdite viene addossata ad Hamas.

Chi contesta è un traditore

Chiunque contesti questa narrazione viene attaccato. Quando il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha condannato esplicitamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ma ha affermato che ‘non è avvenuto nel vuoto’, – facendo riferimento ai 56 anni di occupazione israeliana come contesto determinante – i media israeliani si sono scatenati. e invece di fornire una spiegazione onesta della sua posizione -dominante a livello internazionale-, i giornalisti israeliani hanno fatto a gara a chi criticava più aspramente Guterres. Spesso anche volgarmente.

Embedded

La presenza dei media internazionali è stata praticamente inesistente nelle prime settimane di guerra. Con l’invasione di terra, l’esercito israeliano ha permesso ad alcuni giornalisti di entrare a Gaza, ma solo se accompagnati dai militari senza poter intervistare direttamente i palestinesi o accedere ai siti in rovina. Possono vedere solo ciò che viene loro presentato.

L’esercito fonte della verità

La formazione di base per molti giornalisti in Israele avviene a Galatz, la radio dell’esercito israeliano, non nelle università o nei giornali locali. Galatz seleziona decine di soldati appena arruolati per lavorare alla stazione fornendo loro una esperienza molto apprezzati, che li rendono particolarmente appetibili per un successivo reclutamento professionale al termine del servizio. «Addestrati a pensare che ci sono cose che non possono pubblicare».

Hamas colpevole di tutto

Hamas ritratta sempre sul punto di perdere tutta la sua credibilità tra i palestinesi. Qualche settimana fa, i canali televisivi hanno mostrato migliaia di palestinesi che fuggivano da Khan Younis attraverso un corridoio umanitario scandendo: «Il popolo vuole abbattere Hamas». Nessuno media ha detto, come rivelato da +972, che sono stati costretti a farlo dai soldati israeliani per essere lasciati passare.

L’annientamento sempre domani

La narrazione del presunto imminente crollo di Hamas è stata rafforzata da altri video, come quelli dei palestinesi nel nord di Gaza che consegnano le armi a Israele. «Centinaia di militanti di Hamas si stanno arrendendo nel nord di Gaza». Pochi giorni dopo, i funzionari della sicurezza nazionale hanno stimato che solo il 10-15% erano militanti di Hamas. Il resto erano normali civili che non erano fuggiti a sud, come l’esercito aveva ordinato loro.

La disumanizzazione dei palestinesi

Canale 14 ha costantemente promosso opinioni abominevoli, come la richiesta di annientamento di Gaza e la descrizione di tutti i gazawi come terroristi e bersagli legittimi. A causa di queste dichiarazioni, Canale 14 è stato citato più volte nella denuncia del Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia sull’accusa di genocidio a Gaza. Dichiarazioni che non sono un’eccezione, e sono apparse anche nei notiziari televisivi tradizionali.

Barriera ‘social’

Sui social media, gli algoritmi sono progettati per creare un universo parallelo che favorisce l’isolamento degli israeliani sia tra di loro che dal resto del mondo. Camera di risonanza che amplifica i punti di vista del governo e il panorama informativo del resto del mondo, sull’entità della devastazione a Gaza e sull’oppressione di lungo corso dei palestinesi. Mentre a livello globale si nutrono dubbi sulla fattibilità degli obiettivi di guerra di Israele, dubbi che però in Israele non vengono quasi espressi.

Volontari alla grancassa per l’incasso

Anche se i canali televisivi israeliani non sono costretti formalmente a promuovere la linea del governo, farlo è stato utile ai loro interessi per mantenere alti gli ascolti. Un sondaggio della Hebrew University ha rilevato che dall’inizio della guerra, ‘il consumo di notizie’ è più che raddoppiato. L’apice di trasformazioni storiche che hanno cambiato radicalmente i media e le notizie televisive israeliane, combinate con la decisione degli operatori di dimostrare il proprio patriottismo.

Purtroppo, se la copertura della guerra di Gaza è indicativa, è probabile che queste tendenze continuino, aggravando il circolo vizioso che spinge i media e il pubblico israeliano a essere sempre più di destra, conformista, militarista e nazionalista. Una post democrazia mediorientale.
Condividi:
Altri Articoli
Remocontro