Accenni di verità a fare crollare il precario castello delle ricostruzioni diffuse fino a ieri da Atene, segnala Elena Kanadiakis, da Kalamata, sul Manifesto. Il peschereccio dell’ecatombe prima abbordato della Guardia costiera e poi, dopo la sua scelta di continuare la navigazione, tenuto sotto osservazione a distanza della motovedetta greca, sino al momento del naufragio, la versione ufficiale smentita dai sopravvissuti, 78, contro gli almeno 600 affogati. Il racconto del tentativo della Guardia costiera di trainare con una cima il peschereccio rimasto con il motore fuori uso. Intervento maldestro che avrebbe provocato il ribaltamento della imbarcazione, provocando la morte immediata delle centinaia di persone, in gran parte bambini, stipate sotto coperta.
Fino a ieri il portavoce della Guardia costiera aveva smentito la ricostruzione, sostenendo che delle corde potevano semmai essere state lanciate da alcune navi cargo per rifornire di viveri i naufraghi. Poi il primo ripensamento governativo: «Una corda è stata lanciata per avvicinare il peschereccio e vedere se i migranti volevano aiuto, ma loro hanno rifiutato». Poche ore dopo, il comunicato della Guardia costiera con la terza verità. E ora Atene prende tempo. «Stabilire le circostanze e le cause del fatale rovesciamento richiede un’indagine approfondita e complesse valutazioni tecniche». Già un accenno di ammissione: ‘fatale rovesciamento’ provocato come e da chi?
Dal magazzino del porto di Kalamata nel centro di accoglienza di Malakasa, a nord di Atene, sotto attenta vigilanza di polizia impegnata a prevenire ogni contatto con i giornalisti. «I sopravvissuti insistono sul fatto che a bordo dell’imbarcazione c’erano 700-750 persone: non si sa quante donne e bambini si trovassero nella stiva della nave, ma, secondo le testimonianze, al momento dell’incidente molte donne e bambini stavano dormendo», sostengono le Ong greche. Tra i passeggeri, almeno 120 sarebbero siriani.
Possibili colpe per imperizia di chi doveva soccorrere, ma sempre i guadagni milionari per le organizzazioni criminali. Tra i 4.000 e i 6.000 euro il prezzo pagato dai migranti naufragati in Grecia. Sarita Fratini ci spiega che le cifre variano a seconda delle rotte, della grandezza dell’imbarcazione e del costo dei guardiacoste locali da corrompere. Nella Libia occidentale gli organizzatori incassano dagli 800 ai 1500 euro a passeggero. Spese: l’imbarcazione, che farà un viaggio di sola andata, e il pagamento della cosiddetta ‘guardia costiera libica’. Costi che non superano mai i cinquemila euro. Tutto il resto è guadagno. In un gommone imbarcano circa 100 persone, ricavo tra 80-150 mila euro. In alcune barche di legno, salgono anche duecento persone, che fruttano dai 200 ai 300 mila euro.
Dalla Cirenaica di Haftar, imbarcazioni ancora più grandi su cui vengono stipate anche 600 persone. I pochi sopravvissuti alla strage in Grecia hanno testimoniato di essere partiti dalla Libia e di aver pagato dai quattro ai seimila euro. Si parla di 750 persone a bordo, che vorrebbe dire un guadagno di almeno 3 milioni di euro. Ad inizio 2023 la costa tunisina di Sfax ha spalancato il suo mercato a tutti i migranti e le persecuzioni razziali verso gli stranieri incitate dal presidente Kais Saied hanno indotto migliaia di persone a cercare di fuggire dal paese. In un weekend di marzo 2023 la guardia costiera tunisina ha catturato in mare 2034 persone su 30 diverse barche: 2025 erano migranti subsahariani e soltanto 9 erano tunisini.
L’esperienza libica insegna che un sistema di imbarchi illegali non può essere portato avanti senza accordi con le forze dell’ordine locali. I punti di partenza sono sempre gli stessi e l’arrivo di centinaia di persone su una spiaggia non resta certo inosservato. Le guardie costiere sono fondamentali per il business, senza di loro non si parte. In Libia il metodo è rodato: gli scafisti corrompono la guardia costiera del porto di partenza, la barca salpa nella notte, gli aerei spia di Frontex la individuano la mattina successiva in acque internazionali, viene chiamata la cosiddetta guardia costiera libica, e inviata quasi sempre una motovedetta diversa rispetto a quella che è stata corrotta.
Chi siano le persone dietro il business? Decine migranti africani, denutriti e senza scarpe, al momento dello sbarco in Italia vengono arrestati come ‘scafisti’. Prova a loro carico una: tenevano il timone. Nel frattempo gli scafisti, quelli veri, rimangono in patria, nelle loro ville, a godersi il denaro guadagnato e ad organizzare il prossimo viaggio.
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Milioni di euro per dotare la Guardia costiera greca delle tecnologie più sofisticate non sono bastati per garantire la ripresa video dei soccorsi effettuati mercoledì a largo del Peloponneso. Quando il peschereccio con a bordo 750 persone colava a picco in uno dei punti più profondi del Mediterraneo, l’equipaggio della motovedetta greca non aveva premuto il pulsante della registrazione. È questa l’ultima sconcertante ammissione del portavoce della Guardia costiera, che in un’intervista all’emittente Mega ha ricordato: «Quando avviene un incidente, dobbiamo essere in grado di operare senza ostacoli, si capisce che mettere qualcuno a fare video non è la priorità».
Ma la modernissima nave LS-920 della Guardia costiera che stava monitorando il peschereccio sovraccarico aveva telecamere notturne, che non necessitano dell’impiego dell’equipaggio. Come è possibile che di fronte a un’emergenza simile siano rimaste spente? Eppure tanti altri interventi, conclusi con successo dalla Guardia costiera – che solo nel marzo scorso ha beneficiato di un finanziamento di 18 milioni di euro per rafforzare “la protezione delle frontiere marittime” – sono stati annunciati in passato con una ricca rassegna di video e foto. Difficile pensare che di questa ultima operazione non sia rimasta traccia.