Se la cultura è un seme sovversivo

Continuiamo a pensare che coltivare cultura sia il segreto per accendere il dubbio, per far crescere quel sale della democrazia che è il senso critico; per dare a tutti noi cittadini la possibilità di decifrare le cose che accadono, avendo abbastanza elementi di riflessione per capire quello che è giusto e quello che è ingiusto, o per lo meno quello che conviene e che non conviene. 

Continuiamo a batterci, pur sapendo che tutto quello che è scritto nella frase precedente ha poca utilità nella società perché non è di aiuto ad alcun potere. Anzi, potremmo dire, coltivare cultura è un atto sovversivo di natura, un modo di fare che non porta alcun vantaggio rispetto agli strumenti che regolano il funzionamento della società, quindi degli affari e delle ingiustizie che ormai nella società sembrano invisibili anche quando sono così drammatiche e palesi da urlare la vergogna che esprimono. 

Già, ma cerchiamo di fare chiarezza: quando pronunciamo la parola cultura che cosa intendiamo? Perché una cosa è il processo di crescita delle conoscenze, della sapienza, del bene comune, del buon vivere in una comunità che abita un territorio. Una cosa è la spettacolarizzazione delle cose mediatiche e scintillanti a dare l’impressione che la cultura sia quella cosa per circoli elitari inaccessibili, per pochi addetti ai lavori che regolano il mercato (parola chiave). Oppure, altra faccia della medaglia, è quell’intrattenimento un po’ così che anima la società dello spettacolo, dove tutto è comunicazione e superficie della realtà, e niente è profondità, pensiero, cognizione delle cause per poter cogliere gli effetti. Un luogo colonizzato dove regnano la paraculaggine e l’amichettismo come basi culturali di quella che sembra meritocrazia.

La risposta è abbastanza chiara: l’idea dominante di cultura appartiene a quest’ultima categoria, quella delle due facce della medaglia che perfettamente si connettono con i valori che contano. Quindi piangiamo sull’ignoranza galoppante, sull’analfabetismo di ritorno, sui populismi scemi, sulle credenze più cretine che prendono piede e minano la democrazia. Però accettiamo con indifferenza che la cultura sia quella roba in mano ai mercanti o quel fenomeno mediatico che discende dall’alto a pioggia sui cittadini. In ambedue i casi niente a che vedere con la cura e la passione necessaria per coltivare cultura fertile sui territori, nella vita, nella società. Per costruire modelli sani di partecipazione civile attiva; per alzarsi dai salottini mediatici e fare del pensiero un’azione.

Il mondo è così e va affrontato con le armi di quest’epoca, mi dice una giovane amica e io già penso al fatto che sia l’assuefazione alla bruttezza il vero problema. Ma poi mi accorgo che è una ventenne che si batte quotidianamente contro l’ombra antidemocratica della stupidità, che è piena di idee e non intende minimamente accettare i meccanismi di obbedienza indotti dalla generazione precedente. Altro che assuefazione. Quindi sorrido. 

Troveremo altre strade. Saremo seme e vento che lo sparge. 

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