
Vigilia del XX Congresso del Partito comunista cinese verso la conferma del presidente Xi Jinping alla guida della Repubblica Popolare. Un altro XX Congresso di un altro Partito Comunista, nel 1956 a Mosca dopo la morte di Stalin dove Nikita Chruščëv, fatto segretario, avviho il processo di destalinizzazione. Nulla di così traumatico ed assieme significativo, tra due giorni a Pechino. Anche se sono previsti nuovi cambiamenti allo statuto del Partito e soprattutto cambi ai vertici attorno a Xi che si ritroverà forse meno leader incontrastato, ma sempre il sella.
È probabile che larga parte di quelle posizioni di contorno siano occupate da sodali del presidente (il cosiddetto “Esercito dello Zhejiang”), segnala di Giorgio Cuscito su Limes. Tuttavia non si può escludere che Xi Jinping questa volta debba concedere qualche posizione alle cordate rivali, le quali potrebbero avanzare pretese di fronte ai problemi reali che ancora gravano sulla Repubblica Popolare.
Gli Stati Uniti avvertono la vulnerabilità domestica della Repubblica Popolare e ovviamente tentano di trarne vantaggio. Il 7 ottobre il dipartimento per il Commercio americano ha introdotto nuove regole per limitare le esportazioni di microchip con componenti made in Usa verso la Repubblica Popolare. Questo costringerà importanti aziende come Kla Corp, Lam Research Corp e Applied Materials a interrompere le loro spedizioni verso società legate a Pechino. In particolare, gli Usa vogliono ostacolare l’ulteriore sviluppo dei supercomputer cinesi, impiegati dalla Repubblica Popolare per progredire sul piano militare
Il 13 ottobre, la Casa Bianca ha anche pubblicato il documento sulla Strategia per la sicurezza nazionale in cui ha stabilito l’ordine delle priorità statunitensi nel prossimo decennio per difendere “l’American way of life”: «Battere la Cina e contenere la Russia».
Il nuovo divieto introdotto da Washington rappresenta uno del tentativi più duri per ostacolare il progresso tecnologico della Repubblica Popolare, cruciale per il suo sviluppo economico e militare. E fa il paio con altri provvedimenti già presi per ostacolare l’accesso di Huawei ai microchip americani.
L’invenzione recente della doppia Cina, presenta però qualche problema. Il giro di vite statunitense non può condiziona le attività di Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc), a cui ha concesso – al pari della sudcoreana Samsung – l’autorizzazione per continuare a fabbricare in Cina prodotti con componenti Usa per almeno un altro anno.
Bloomberg ha diffuso la notizia secondo cui il Pentagono studia l’evacuazione (esfiltrazione la chiamano le spie) degli ingegneri di Tsmc e la distruzione dei suoi stabilimenti in caso di invasione cinese dell’isola. Terra bruciata insomma. Per fortuna il ministro della Difesa taiwanese non prevede questo scenario nei propri giochi di guerra. Ma non si è espresso sulla modalità di quelli americani.
Difficilmente nei giorni del Congresso Xi replicherà al tentativo statunitense di tagliare le gambe al progresso tecnologico cinese. Probabile però che Xi usi la misura decisa da Washington per difendere davanti al Partito il suo piano per raggiungere l’autosufficienza tecnologica in funzione antiamericana.
E quindi dimostrargli che solo lui può guidare la Repubblica Popolare nella sfida con gli Stati Uniti. Almeno per altri cinque anni.