Turchia presidenziali: per chi ‘votano’ Stati Uniti e Russia?

La campagna elettorale per le presidenziali del 14 maggio in Turchia sta diventando l’ennesimo fronte della ‘guerra di prossimità’ tra Stati Uniti e Russia. Segnala clamoroso con inciampo diplomatico compreso, la visita a fine marzo dall’ambasciatore americano ad Ankara Jeff Flake al quartier generale del Chp, il partito laico di opposizione col solo vero concorrente dell’uscente Erdoğan, Kemal Kılıçdaroğlu.
Col permalosissimo Erdoğan che taglia formalmente i ponti con il rappresentante della superpotenza nel suo paese, facendo sapere che se Flake avrà l’ardire di chiedergli un incontro gli verrà sbattuta la porta in faccia.
Porte spalancate e pompa magna per il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, inviato da Putin ad Ankara per manifestare il desiderio del Cremlino di continuare ad avere l’attuale presidente come interlocutore.

Da Limer, carta di Laura Canali

Geopolitica reale anche sul campo di battaglia

«I turchi di ogni estrazione e orientamento ritengono mediamente gli americani (cor)responsabili della crisi monetaria (nella sua ‘inarrivabile saggezza’ Trump rivendicò pubblicamente l’attacco alla lira dell’agosto 2018), ne condannano l’approccio irriducibilmente filogreco nel vitale confronto con Atene nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale, biasimano eufemisticamente il sostegno militare e logistico che Washington fornisce al Pkk in Siria e in Iraq. Solo per citare i principali elementi di frizione tra la superpotenza e il suo insubordinato ‘alleato’ anatolico», L’anti-americanismo in Turchia è ai massimi storici, la premessa di  Daniele Santoro su Limes.

«Specularmente, la stragrande maggioranza dei turchi considera la Russia un partner affidabile. I due terzi scarsi dell’opinione pubblica anatolica vedono oggi nel rivale storico un paese amico – contro il 90% che percepisce gli Stati Uniti come un nemico».

Sentimenti noti, come le intromissioni storiche

Gli Stati Uniti con l’antico vizio di intromettersi negli affari interni di clienti e rivali, eredità della loro bnon più incontrastate ‘egemonia globale’. Va detto che la stessa ascesa del presidente turco è in parte il prodotto dell’intromissione della superpotenza nelle questioni turche. L’ex ambasciatore americano in Turchia Morton Abramowitz che già nel 1996 parlava di Erdoğan come del ‘primo ministro del futuro’. O George W. Bush, che nel 2002 ricevette alla Casa Bianca l’allora semplice segretario generale dell’Ak Parti, allora neppure parlamentare. Nel febbraio 1999 gli americani avevano attivamente contribuito alla cattura di Abdullah Öcalan da parte dei servizi segreti turchi. Nel novembre dello stesso anno Bill Clinton compì un’emozionante visita a İzmit poche settimane dopo i devastanti terremoti che avevano colpito l’Anatolia occidentale.

Il ‘bacio della morte’ di chi a chi?

La mossa apparentemente ostile degli americani, rispetto al nazionalismo turco esasperato dalla crisi, si traduce di fatto in ‘una sponda’ alla corsa elettorale del presidente turco, che ha ricambiato le cortesie del ‘nemico americano’. Bloccati una parte dei beni sanzionati dall’Occidente verso la Russia, rimosso il veto all’ammissione della Finlandia ora 31° socio Nato, smussando le tensioni con la Grecia. «Ed è in questo contesto che va letta la visita di Lavrov. Volta a tamponare la timida riconciliazione turco-americana, a ricordare a Erdoğan il peso di Mosca negli equilibri eurasiatici, più che a favorire la rielezione del Reis».

Erdoğan piglia tutto

Sempre Daniele Santoro sottolinea come «la possibile partecipazione di Putin all’inaugurazione della centrale nucleare di Akkuyu, creatura Rosatom, prevista a fine aprile giocherebbe certamente a favore di Erdoğan, a ricordare agli elettori anatolici le ricadute in termini di benessere della cooperazione turco-russa di cui il presidente è stato protagonista».

Tensioni e reazioni di Mosca

Minor spazio politico diplomatico di Mosca ad Ankara nelle mediazioni di pace e nell’accordo sul grano ucraino. Peggio, la Russia ha indurito la propria politica nel Caucaso meridionale. Soldati e armamenti armeni nelle zone contese con l’Azerbaigian a sostegno turco, attualmente molto più problematico di ieri tra post terremoto e crisi economica. E anche il colpo di scena dell’abbraccio con Assad e i profughi siriani di ritorno in patria che è rimasto vincolato a ritiro delle truppe turche, senza che Putin provasse a convincere il leader siriano.

Chi si fida è perduto

«I russi – a ragione – continuano a non fidarsi pienamente di Erdoğan. Ne temono la non comune capacità di mercanteggiare con gli americani. Soprattutto in una fase in cui i rapporti di forza tra Ankara e Mosca sono molto meno squilibrati a favore della seconda rispetto al passato, anche recente».

Malgrado tutto, il nemico americano resta in netto vantaggio sull’amico russo, la conclusione di Daniele Santoro e di Limes.

Professor Soli Özel su ISPI

«La modifica della legge elettorale, la costituzione dell’Alto consiglio elettorale e il cambiamento della sua composizione, una legge draconiana sulla ‘disinformazione’, interpretata da una magistratura quasi totalmente di parte, destano preoccupazione. D’altra parte, l’opinione pubblica turca prende molto sul serio le urne e la sacralità del voto e, in ultima analisi, la sua vigilanza è un’assicurazione per queste elezioni esistenziali».

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