
Il premier al giuramento davanti al Re
La fiducia al nuovo governo arriva a più di quattro mesi dalle elezioni di luglio, ed è stata piuttosto complicata: dopo le elezioni, benché il PSOE non fosse stato il partito più votato (era stato il Partito Popolare, la principale formazione di centrodestra), Sánchez era emerso rapidamente come l’unico leader capace di formare una coalizione per ottenere la maggioranza parlamentare. I negoziati, tuttavia, sono stati estenuanti ed estremamente complessi, perché Sánchez ha dovuto ottenere l’appoggio di numerosi partiti autonomisti e indipendentisti che rappresentano gli interessi di varie regioni spagnole.
L’accordo più controverso è stato quello con Junts per Catalunya, partito indipendentista catalano guidato da Carles Puigdemont, che prevede fra le altre cose un disegno di legge per concedere l’amnistia a tutti gli attivisti indipendentisti catalani che avevano partecipato all’organizzazione del referendum per l’indipendenza della Catalogna nel 2017, considerato illegale dallo stato spagnolo, e ad altre azioni legate alla causa indipendentista per cui c’erano state violazioni della legge. ‘Junts’ aveva posto l’amnistia come condizione fondamentale per offrire il sostegno dei suoi deputati al governo di Sánchez.
La legge di amnistia, che dovrà essere approvata dal parlamento, prevede la cancellazione della «responsabilità penale, amministrativa e contabile» per più di 300 leader e attivisti indipendentisti incriminati di vari reati, e anche per 73 poliziotti sotto processo per le eccessive violenze contro i manifestanti indipendentisti nei giorni del referendum del 2017. La questione era diventata l’oggetto di proteste portate avanti dai partiti di destra, che speravano di fare pressione per impedire la formazione di un nuovo governo Sánchez.
Sánchez si era dimesso a maggio per il cattivo risultato del suo partito alle elezioni locali e aveva convocato elezioni anticipate a luglio. Ritenuto in netto svantaggio, alle elezioni aveva invece ottenuto un risultato sorprendentemente buono anche se il partito più votato era stato il Partito Popolare, di centrodestra, che anche con i voti di Vox, estrema destra, non aveva comunque una maggioranza. A settembre il leader del PP, Núñez Feijóo, aveva provato ad ottenere la fiducia per due volte dal parlamento. Dopo il fallimento Feijóo, re Felipe VI aveva conferito a Sánchez l’incarico di formare un nuovo governo.
«’In Spagna, chi resiste, vince’, disse lo scrittore Camilo José Cela nel ricevere dopo anni un prestigioso premio letterario. Pedro Sánchez ha trasformato l’affermazione in strategia politica». Citazione di Lucia Capuzzi su Avvenire. «Il leader socialista ha tenuto testa al crollo del partito alle amministrative di maggio. La sconfitta alle politiche del 23 luglio riuscendo comunque a sparigliare le carte. Quattro mesi di silenzio in attesa che la mancanza di maggioranza rendesse vana la vittoria del popolare Alberto Núñez Feijóo. E, nel frattempo, ha lavorato a costruire una coalizione di forze progressiste e autonomiste». Ieri, finalmente, s’è presentato di fronte al Parlamento per incassare il via libera al ‘Sánchez-ter’, puntualmente arrivato.
Nel discorso ha affrontato di petto il nodo più spinoso cioè l’amnistia. «Una concessione indispensabile per formare il governo. La ricetta dei popolari ha portato al disastro in Catalogna. Dobbiamo continuare a governare per evitare l’ondata reazionaria. L’amnistia è il prezzo accettabile, non si tratta di una attacco alla Costituzione bensì la dimostrazione della sua forza per realizzare un programma ambizioso». «Un intervento delirante» l’ha definito il rivale Feijóo nella replica. «L’amnistia non migliora la convivenza, la distrugge». Minacce quasi golpiste da Santiago Abascal, leader l’ultra destra Vox.
«Contro questo ‘colpo di Stato’ – ha aggiunto – la Spagna è scesa in piazza in modo pacifico. Se, però, la protesta diventasse violenza, con che legittimità potrebbe impedire un assedio del Parlamento?». Una minaccia decisamente poco velata.