I boschi della montagna sacra e il potere della devastazione

La montagna sacra la adoro. L’Amiata, imponente, con le sue nuvolone a fare da corona, è la madre di questo territorio. Si staglia mistica con la sua bellezza ed energia, rende tutto il paesaggio straordinario. Rende questo pezzo di mondo unico e non solo per il disegno della Val d’Orcia, ma per l’unicità del rapporto spirituale e poetico tra la valle e la montagna.

Nelle settimane scorse – ero a Piancastagnaio – mi è capitato in mano un depliant turistico che parlava proprio dell’Amiata, uno scenario naturale con migliaia di anni di storia. 

Prima immagine una faggeta. E poi ancora, sfogliando, boschi fittissimi, castagneti, un ciclista su un sentiero tra gli alberi e ancora castagneti e piccoli centri abitati. In effetti così è: un luogo misterioso in cui la sacralità della terra si esprime attraverso una meraviglia di alberi, boschi, animali, sentieri, luci che si infilano tra le fronde, e i colori spettacolari del fogliame in ogni stagione. 

Però tornando a casa ho percepito quello che noto ormai da anni: un taglio feroce, talvolta indiscriminato di alberi. Veri e propri abbattimenti di tutto. Ci sono colline rimaste spelacchiate, angoli di meraviglia in cui sono rimasti in piedi quattro zeppi, mentre a terra giacciono i colossi, i tronchi senza vita. E il sottobosco devastato dai cingoli, distrutto. Possibile mai che una mano parla della montagna sacra con rispetto e invita i turisti a visitare i suoi boschi e l’altra mano li rade al suolo? Ma come funziona?

Mi sembrava di essere finito in una scena del Signore degli Anelli, quando il perfido Saruman nel nome dell’industria abbatteva foreste su foreste: la mano trucida del potere contro il bene comune della natura. Così la vedeva Tolkien e non sbagliava di molto. Il potere, qualunque potere, per essere efficace deve  essere visibile e indecifrabile. Intaccabile nella sua astrattezza feroce. Qualcosa di ineluttabile, devastante, incivile, ingiusto, miope nei confronti del bene comune eppure spietatamente efficace nell’ottenimento dei propri obiettivi. Che, evidentemente, non sono i nostri, non sono gli stessi di chi vorrebbe vivere in pace, senza devastazioni, in un mondo che guarda alle future generazioni con gentilezza e non con crudeltà. 

Penso sia uno spunto sul quale riflettere, quello dell’Amiata. Perché celebrare la montagna sacra degli etruschi e poi disseminarla di centrali geotermiche, chiamandole rinnovabili quando si esauriscono, spalancando le stradine non alle bici e ai camminatori ma alla possibilità che a percorrerle siano moto e auto? Perché fingere che l’industria della devastazione possa in qualche modo essere utile al benessere dell’Amiata e non al profitto di pochi a danno del bene comune di tutti?

Mi viene in mente che è un segno del tempo. Per richiamare i turisti celebriamo il mistero e la bellezza, la purezza, la storia e la natura. Pronti però a cementare ogni cosa per fare una piscina in più, una strada più scorrevole, una nuova panoramica tragica dalla quale affacciarsi a vedere ciò che resta. Fin quando non ci sarà più niente da godere e da tramandare. Solo ricordi e immagini photoshoppate al posto della realtà. 

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