Tra il 1274 e il 1281 due violenti tifoni che si abbatterono sul Mar del Giappone distrussero le flotte allestite dai Mongoli che avevano tentato l’invasione del paese del Sol Levante: particolarmente distruttivo fu il secondo tifone che praticamente annientò in mare una flotta di quattromila navi che imbarcava più di centomila soldati. La successiva rappresentazione dell’evento superò la semplice spiegazione atmosferica e nella cultura giapponese nacque così l’immagine suggestiva del «vento divino», ovvero di un intervento soprannaturale che aveva colato a picco il nemico: come è noto, verso la fine della Seconda Guerra mondiale, i giapponesi ricorsero a questa vicenda per dare il nome di “kamikaze” («vento divino») ai piloti suicidi che tentarono di fermare la flotta americana.
Qualcosa di simile avvenne anche in Occidente, quando l’«Invincibile armata», una potente flotta spagnola destinata a sbarcare in Inghilterra, fu prima sconfitta dagli inglesi e poi dispersa da due potenti tempeste al largo delle isole Orcadi e Shetland nell’agosto 1588. In ambedue i casi si trattò di eventi imprevisti, benché non imprevedibili, ma dagli uomini di mare fu appresa la lezione di quanto importante fosse disporre delle previsioni.
Solo ai tempi di Nelson però, cioè due secoli dopo, un comandante fu in grado di formulare, sulla base della sua esperienza e di una prima rudimentale teoria, previsioni atmosferiche che del resto erano necessarie anche nella ricerca del vento favorevole, aspetto tra l’altro fondamentale nella navigazione a vela.
L’osservazione scientifica in campo meteorologico si sviluppò soprattutto nel XIX secolo, ma – data la natura ancora limitata dei conflitti, sebbene fosse conosciuta e producesse risultati già abbastanza attendibili – questa scienza non giocò subito un ruolo determinante. Assieme alla rivoluzione tecnologica costituita dalla trasmissione delle notizie per mezzo del telegrafo, si aggiunse insomma un nuovo apporto scientifico all’arte della guerra, anche se tutte le potenzialità non potevano ancora dirsi conosciute.
A partire dalla Prima Guerra mondiale si svilupparono invece armi nuove il cui impiego sfidò la nuova scienza: per compiere la propria missione il pilota di un aeroplano doveva conoscere la situazione atmosferica e la sua evoluzione, ma anche le operazioni terrestri sarebbero state condizionate da precipitazioni o altri fenomeni al suolo. La precisione dei calcoli nella misurazione e direzione dei venti, della temperatura dell’aria e dell’umidità – tutti elementi alla base della meteorologia – furono usate anche per i tiri dell’artiglieria, un settore nel quale i tedeschi furono al primo posto.
Poiché inoltre, nel corso dello stesso conflitto, furono impiegati anche gas asfissianti divenne fondamentale prevedere l’andamento dei venti o di altre perturbazioni che avrebbero determinato percorso ed efficacia delle nubi velenose. Sorsero così unità specializzate che periodicamente diffondevano bollettini e raccomandazioni, ma l’importanza generale era tuttavia sottovalutata.
L’uso delle previsioni atmosferiche per pianificare operazioni militari di vasta portata fu alla base di due successi nella Seconda Guerra mondiale: l’attacco a sorpresa della base di Pearl Harbor e lo sbarco in Normandia. La flotta giapponese, oltre ad osservare un rigoroso silenzio radio per tutta la rotta, giunse inaspettata davanti al porto delle isole Hawai perché navigò ‘nascosta’ dal fronte di una tempesta: le previsioni giapponesi inoltre erano già al corrente che la mattina dell’attacco la visibilità sarebbe stata ottima.
Lo stesso congegno si ripeté grossomodo per lo sbarco in Normandia: l’ordine di partenza alla potente flotta alleata fu impartito dopo che, sempre sulla base di corrette previsioni, fu certo che l’attraversamento della Manica da parte di migliaia di navi sarebbe stato nascosto dal maltempo.
Pochi sanno che, allo scopo di costituire delle basi meteorologiche per le previsioni in Nord Atlantico, i tedeschi costituirono una rete di stazioni automatiche clandestine sparse sulla costa della Groenlandia e della penisola di Labrador nonostante l’Islanda e Groenlandia fossero sotto controllo alleato dal 1941. Il 22 ottobre 1943 il sommergibile tedesco U-537 scaricò materiali per una stazione automatica nella Martin Bay (Labrador), ma le trasmissioni si interruppero dopo un paio di settimane probabilmente per un disturbo radio alleato. Intercettare le trasmittenti tedesche tra l’alto non era impresa facile: la durata della trasmissione era di circa tre minuti ogni ventiquattrore. Tra i ghiacci non mancarono stazioni con personale della Kriegsmarine e l’ultima si arrese nel settembre 1945.