
L’invasione sembrava aver ridato vigore e una ragion d’essere alla NATO data, pochi anni prima, novembre 2019, dal presidente francese Macron «in stato di morte cerebrale», scossa dall’aggressione russa dell’Ucraina e sollecitata anche dalla reazione americana. «Da una parte, fornendo supporto umanitario, logistico e soprattutto militare a Kiev. Dall’altra, insidiando il Cremlino, sempre più circondato e ora costretto a rafforzare le difese anche sui 1.300 km di confine con la Finlandia», il dettaglio dell’analisi ISPI, e dei suoi studi di politica internazionale.
Ma l’apparenza inganna. La discussione sugli aiuti di lungo periodo all’Ucraina distoglie l’attenzione da una questione più problematica: sull’adesione di Kiev all’alleanza non c’è consenso. E, come per l’Ucraina, le divisioni interne tengono in ostaggio da mesi anche la candidatura della Svezia, con i veti incrociati di Turchia e Ungheria. E le tensioni non mancano nemmeno fra gli stessi membri dell’Alleanza: dal conflitto ‘freddo’ fra Turchia e Grecia, agli sguardi indiscreti su Ankara per il suo rapporto ambiguo con Mosca (da cui fino a qualche anno fa comprava i sistemi missilistici S-400, mentre oggi la aiuta ad aggirare alcune sanzioni occidentali.
C’è poi la questione del budget: la maggior parte dei membri non raggiungono l’obiettivo comune del 2% di spesa militare sul Prodotto interno lordo, né sembrerebbero intenzionati a farlo (Italia tra quelli che comunque non possono permetterselo), oltra quelli che avanzando dubbi sul supporto futuro a Kiev che sono più di quelli che ufficialmente appaiono. A bloccare l’aumento del budget militare dei governi europei c’è anche l’opinione pubblica. Se un anno fa la condanna all’invasione russa era unanime, oggi non tutti i paesi vedono di buon occhio il suo protrarsi nel tempo.
Se in Estonia, Polonia, Danimarca e Gran Bretagna, la maggior parte della popolazione sostiene l’invio di armi per la riconquista dei territori ucraini occupati, anche a costo di un prolungarsi della guerra, in Italia e in Romania la popolazione preferirebbe a maggioranza netta un accordo di pace. Insomma, fra l’incertezza del ‘budget futuro’ e le difficoltà dell’industria bellica occidentale nel rifornire gli arsenali ucraini, (le bombe prodotte in Sardegna sono tedesche), «molto -ancora ISPI- dipenderà dalla controffensiva nei prossimi mesi.
Un’ultima opportunità (o illusione NdR) per Kiev per recuperare (parte Ndr) dei territori occupati, prima di una (possibile) ripresa dei negoziati di pace con Mosca?».
Ma se così non sarà, Riuscirà l’Alleanza Atlantica a tenere tutti 31 con diversità sempre più accese ed evidenti, sotto lo stesso tetto?
Inarrestabile espansione ad est della Nato, mappa animata ISPI