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‘Forum per la liberazione degli ostaggi’. Crescono le proteste contro il premier, sempre più incattivito. «Dimettiti, chi distrugge non costruirà, chi distrugge non creerà» ha urlato Yonatan Shamriz, fratello di Alon ucciso a Gaza per errore dall’esercito israeliano. Una folla di migliaia di persone a chiedere le dimissioni di Netanyahu e del suo governo, innalzando cartelli con le foto degli ostaggi. Proteste ebraiche anche a Haifa, Gerusalemme e Cesarea.
Per il governo israeliano attualmente a Gaza si trovano 105 ostaggi in vita e 27 cadaveri, mentre 100 dei rapiti sono rientrati in Israele durante la tregua di novembre.
Oltre i 25 mila morti gazawi, e il 70% sono donne e bambini. A dirlo è l’Agenzia dell’Onu, secondo la quale almeno 3 mila donne potrebbero essere rimaste vedove e almeno 10 mila bambini potrebbero aver perso il padre. Dei 2,3 milioni di abitanti del territorio, si legge nel rapporto UN, 1,9 milioni sono sfollati, e «quasi un milione sono donne e ragazze». In 100 giorni di conflitto a Gaza le vittime sono quasi 3 volte superiori a quelle complessive degli ultimi 15 anni.
Nel sud di Gaza, secondo la Cnn, i soldati israeliani avrebbero profanato diversi cimiteri musulmani. «Lapidi rotte, cumuli di terra e, in alcuni, corpi riesumati» si legge nell’inchiesta dell’emittente statunitense. I cimiteri profanati fino a oggi sarebbero addirittura 16. Riesumati alcuni corpi, dichiarando che l’operazione era necessaria alla ricerca degli ostaggi. Nessuna spiegazione per il danneggiamento degli altri luoghi di sepoltura.
A Washington tutta elettorale si macina fumo. Biden che nonostante una difficile telefonata con l’uomo della guerra assoluta, insiste che «una soluzione due stati non è impossibile», e qualcuno vorrebbe ancora poterci credere. Una delle opzioni offerte all’incontenibile Netanyahu, «Una nazione palestinese disarmata o a sovranità limitata». Più limitata di quella che già non hanno, come assaggio?
Hamas: «Vendere l’illusione che Biden, un partner a pieno titolo nella guerra del genocidio, stia cercando di parlare dello Stato palestinese non inganna il nostro popolo».
Mentre la potenza militar politica Usa naufraga per l’ennesima volta, sorpresa sorpresa, sta per arrivare un piano in dieci punti, elaborato dal capo della diplomazia europea, Josep Borrell. Ovviamente prima, il decalogo dovrà essere discusso alla riunione dei ministri degli Esteri dei 27 oggi a Bruxelles. Con incontri separati con ministro degli esteri israeliano Katz, con Riyad al-Maliki, per quando ancora rappresenti l’ANP di Abu Mazen. E, meglio, i rappresentanti di Arabia Saudita, Egitto, Giordania e Lega Araba.
Proprio alla vigilia dell’incontro, Borrell attacca il governo israeliano con l’accusa ormai nota e confermata da più fonti, di aver finanziato Hamas «nel tentativo di indebolire l’Autorità Palestinese», segnala Alessandra Briganti sul Manifesto. E si ritorna all’impegno tradito di «Due popoli due Stati», che sfuma tragicamente verso la favola se il mondo non riuscirà ad imporlo alla parte peggiore di Israele. Con Borrel che, con un guizzo di realismo, ammette la necessità che la soluzione «sia imposta dall’esterno». Vallo a dire a Biden-Brinkal o, peggio a Trump-Kushner (il genero), se verranno.
In attesa di un dopo Netanyahu in Israele e della caduta dell’attuale aggregazione politica suprematista ebraica che opera per l’espulsione della popolazione palestinese dai suoi territori, l’Ue dovrà superare anche molte le divisioni interne che da mesi le tolgono persino la parola. Una spaccatura certificata nel voto alle diverse risoluzioni Onu sulla guerra a Gaza. E sebbene stia crescendo il fronte dei Paesi favorevoli a un cessate il fuoco immediato, la Germania resta vittima dei suoi storici sensi di colpa per l’orrore Olocausto, e insiste, sempre più sola, a definire ciò che sta accadendo a Gaza come ‘diritto all’autodifesa’, bloccando da fatto una posizione Ufficiale dell’Unione.
Un’indicazione forte per il cessate il fuoco a Gaza è arrivato dal summit del Movimento dei Paesi Non allineati, in Uganda. Nella «Dichiarazione di Kampala», i 120 paesi dell’organizzazione – in rappresentanza di oltre il 55% della popolazione mondiale – chiedono la fine del conflitto attraverso un immediato cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi, ed esprimono pieno sostegno all’iniziativa del Sudafrica con la denuncia di Israele per genocidio.
Al summit è intervenuto anche il segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres che ha sottolineato come il livello di distruzioni inflitto a Gaza e l’alto numero di vittime civili in un così breve periodo sia un fatto «totalmente senza precedenti nel periodo del suo mandato». Guterres ha ricordato i 152 impiegati dell’Onu morti sotto le bombe e gli operatori umanitari che con enormi rischi per la loro vita e per quella dei loro familiari continuano a lavorare nella Striscia.
Infine ha ricordato che «a Gaza la gente non muore solo per le bombe, ma anche per la mancanza di cibo e acqua potabile, o per gli ospedali privi di medicine ed energia elettrica».