Perché in Ucraina la Russia sarebbe «condannata a vincere»

Vincere una guerra già persa moralmente, e a prezzi esorbitanti da pagare nella storia. La guerra in Ucraina sta per entrare nel decimo mese ma i combattimenti sembrano tutt’altro che vicini alla conclusione, la premessa di cronaca su ‘Pagine Esteri’.
Certo, il fronte occidentale continua a sostenere politicamente, economicamente e militarmente Kiev, considera Marco Santopadre, «affermando di mirare, come ripete quotidianamente Volodymyr Zelensky, alla sconfitta della Federazione Russa e al completo ritiro delle sue truppe da tutto il territorio».
Ma è l’orgoglio che aiuta a per sopportare l’insostenibile che l’inverno porta con sè, prima dell’attacco russo di primavera, sicuro come il ciclo delle stagioni. Washington lo sa, Keiv lo teme, Mosca lo sta preparando.

Perché la Russia non può perdere

La verità è che la Russia non può perdere, perché un passo falso in Ucraina potrebbe segnare la fine del potere di Vladimir Putin, e non è affatto detto che i dopo sia meglio del prima, ma avrebbe soprattutto gravi conseguenze per la Federazione. E l’ipotesi di una disgregazione dell’attuale Federazione legata/controllata a Mosca, fa paura al mondo, Nato compresa. E forse alla stessa Ucraina e blocco baltico meno visceralmente anti russo, a ben pensarci. Perché comunque, anche tenendosi la Crimea che nessuno spera realmente di potersi riprendere, e prendendosi il Donbas russofono devastato, il prezzo pagato dalla Russia di Putin risulterà enorme. Un pessimo affare politico.

Se muore Putin la guerra finisce?

Nei giorni scorsi Zelensky ha affermato che «se morisse Putin la guerra finirebbe», ma era una sparata tra le molte, forse troppe da parte del personaggio. «Certo, a Mosca potrebbe prevalere la corrente pragmatica dell’establishment, cosciente dei limiti oggettivi della macchina militare e dell’economia russa e magari incline a cercare una ricomposizione con la Nato, alla quale del resto la Russia si era fortemente avvicinata a metà degli anni ’90 del secolo scorso (ai tempi della “Partnership for Peace”), prima che Washington la escludesse e iniziasse l’assedio», sottolinea opportunamente Santopadre. Ma non è affatto detto che sia così.

Dopo Putin arriva forse la democrazia?

Il contesto internazionale attuale, però, non sembra certo evolvere verso una ricomposizione tra i vari poli della competizione globale tra potenze e blocchi geopolitici, sottolinea Pagine Esteri. E è tantomeno è detto che la sconfitta del tentativo di Mosca di riprendersi un pezzo importante dello spazio territoriale e geopolitico occupato prima dall’impero russo e poi dall’Urss, favorirebbe una nuova disponibilità russa a trattare con la Nato ormai alle porte di casa, o favorirebbe invece le correnti ancora più radicali dello scenario politico russo, «nel quale nazionalismo e sciovinismo prendono sempre più piede», è l’allarme. E le difficoltà già attuali di Mosca negli “stan” dell’Asia Centrale, dove i vari regimi cercano di limitare la tradizionale influenza russa rafforzando le relazioni economico militari con la Cina, la Turchia che è Nato a sua semplice convenienza.

In caso di fallimento, è proprio da questi ambienti radicali che dovrebbe difendersi Putin, la cui caduta potrebbe innescare un’ulteriore escalation da parte della Russia nello strenuo tentativo di evitare un possibile collasso in uno scontro con la Nato sempre più diretto, per quanto per ora combattuto sul suolo ucraino.

Obiettivo individuabile di Mosca oggi?

Domanda chiave, cosa serve a Putin per potersi dichiarare vincitore senza arrivare alla fine del mondo. Fallite le mire della prima ora: prendersi rapidamente quasi tutto il territorio per poi inventarsi un governo fantoccio ucraino. Fallita la presa di Kiev e la decapitazione della leadership ucraina, la strategia del Cremlino sembrava mirare ora ad occupare l’Ucraina sud-orientale per conquistare una stabile continuità territoriale con la Crimea e assimilare la maggior parte dei territori abitati dai russofoni, appropriandosi oltretutto delle zone più ricche di risorse naturali e infrastrutture industriali.

Obiettivo minimo finale

Ma nelle ultime settimane, la strategia di Mosca sembra ulteriormente mutata: «dopo aver deciso di abbandonare Kherson e le zone sulla sponda destra del fiume Dnipro, la cui difesa sarebbe costata un prezzo eccessivo, puntando nel contempo a fiaccare l’Ucraina per obbligare la sua la leadership a trattare», la sintesi di Pagine Esteri e di grande parte della stampa internazionale, statunitense compresa.

Mosca martella città e infrastrutture

Incessanti bombardamenti, con droni e missili, delle infrastrutture civili, soprattutto centrali elettriche e sistemi idrici. Putin ha avvisato che i bombardamenti delle infrastrutture nevralgiche ucraine continueranno «in risposta al sabotaggio del ponte di Kerč da parte di Kiev», ma è evidente che Mosca cerca di piegare la popolazione civile lasciandola al buio, al freddo e senz’acqua durante il lungo e duro inverno ucraino. Resistenza ucraina oggettivamente eroica, ma il premier Denys Smyhal, che non dichiara ma deve risolvere i problemi, ha avvisato che se gli attacchi ai sistemi elettrici ed idrici continueranno, il Pil del paese potrebbe crollare quest’anno del 50%.

Usa e Ue, più aiuti e forniture militari

Per tentare di impedire il collasso dell’Ucraina l’Unione Europea si è impegnata a fornire a Kiev, nel corso del 2023, un pacchetto di aiuti pari di 18 miliardi, superando il veto del governo ungherese. Mentre Washington insiste con le armi, questa volta alcune batterie di Patriot nonostante i timori che alla fine possano finire in mano russa. Ma la formazione del personale in grado di utilizzare questo scudo antiaereo, è una procedura che richiede mesi. Personale militare Nato
direttamente coinvolto? Molto rischioso e molto probabile.

Già i britannici fuori campo, in troppi a spingere

Nei giorni scorsi l’ex comandante dei Royal Marine di Londra, ha ammesso che alcune unità d’élite della marina britannica hanno partecipato a missioni «ad alto rischio politico e militare, operazioni segrete sul suolo ucraino». Quasi una provocazione più che una vanteria inopportuna. Mentre gli Usa – che hanno finora fornito all’Ucraina 19,3 miliardi di aiuti militari – hanno già inviato a Kiev alcune batterie di missili ‘Himars’, chiedendo agli ucraini di non colpire oltre il confine russo, sapendo benissimo che non sarebbe accaduto. Giustamente Kiev reagisce con tutto quello che ha, ed ha colpito le basi russe di Ryazan ed Engels e un impianto petrolifero vicino a Kursk, centinaia di chilometri oltre il confine.

Una guerra ancora lunga

Da parte sua la Nato a testa Usa e articolazioni europee in contrasto tra loro, continua a inviare segnali contraddittori. «Da una parte frena gli impeti ucraini nel timore che Mosca si convinca ad usare tutti i mezzi a sua disposizione alzando il livello dell’asticella. D’altra parte, non ha nessun interesse ad un cessate il fuoco che concederebbe ossigeno a Mosca e fomentare le contraddizioni interatlantiche». Detta ancora più apertamente, la partita tra Europa di Bruxelles fortemente penalizzata sia sul fronte economico che militare, e Washington e Londra che invece se ne avvantaggiano.

La guerra lunga di Nato e Putin assieme

La Nato sembra puntare ad un lungo conflitto sperando che la continuazione dei combattimenti sfianchi la Russia ridimensionando le aspirazioni geopolitiche di Mosca. Ma molti vertici militari Usa hanno già bocciato questa teoria tutta politica. Mentre Putin a sia volta ha avvisato il popolo russo che la guerra in Ucraina sarà lunga e che sussiste il pericolo che si trasformi in un conflitto nucleare, anche se nessuna delle parti ammette di poter utilizzare per prima l’opzione atomica.

Stoltenberg, ventriloquo di Washington

Anche il prorogato segretario generale della Nato, Stoltenberg, ripete di ‘guerra lunga’ come da ordini, escludendo quindi una trattativa con Mosca. E qui siamo alla bugia dovuta. Una trattativa dietro i riflettori che già esiste, come dimostra lo scambio tra un’atleta statunitense arrestata in Russia per traffico di stupefacenti e Viktor Bout, un ex ufficiale dell’aeronautica sovietica arrestato dagli Usa perché accusato di trafficare armi. A rivelare i contatti tra Russia e USA persino le reazioni infastidite di Kiev dei giorni scorsi.

Il Donbass martoriato

«Paradossalmente, sia Putin che Stoltenberg hanno convenuto su un fatto che spesso l’informazione e la politica tendono a dimenticare: la guerra in corso non è iniziata il 24 febbraio scorso ma nel 2014, quando con il sostegno della Nato le correnti nazionaliste ucraine presero il potere a Kiev lanciando una “operazione militare speciale” contro le popolazioni russofone del Donbass che si opponevano al nuovo regime, a loro volta sostenute da Mosca che decise di annettersi la Crimea», l’utile riassunto dei precedenti da parte di Marco Santopadre.

Ciò che resta del Donbass

Combattimenti continui tra truppe a terra con tutto quello che può volare tra le due parti, con risultati territoriali minimi. Russi in leggero vantaggio mentre le autorità dell’ormai ‘ex Repubblica Popolare di Donetsk’ denunciano i più massicci bombardamenti dal 2014, che stanno riducendo le città in macerie e terrorizzando quella parte della popolazione che aveva deciso di non evaquare in Russia. E tutto torna alle origini degli accordi di Misk a garanzia Ue disattesi, che sarebbero costati a Kiev la concessine di una forte autonomia amministrativa di quella regione, e basta. Contro il macello e le devastazioni attuali e quelle che ancora verranno.

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