Assomiglia all’ingenuità la saggezza?

Due Polemos fa ho parlato del Coltivare cultura e di come il mondo efficace e tecnocratico, che fa affari sulla mediocrità, giustamente se ne frega. Scrivevo che tutto quello che crea pensiero, idee, libertà fuori dagli schemi del format dominante è sovversivo. E citavo le parole di speranza di una giovane amica, una ventenne, che accetta la realtà per quella che è, conosce le cause generazionali dei danni che abitiamo, e si batte con costanza e coerenza perché il mondo cambi davvero.

Il testo chiudeva così.

Troveremo altre strade. Saremo seme e vento che lo sparge.

Poi ti guardi in giro, vedi che ogni gentilezza è confusa con debolezza, ogni debolezza con sconfitta e pensi di quale sconfitta stiamo parlando, visto che non siamo in competizione, ma stiamo vivendo. La cura e l’attenzione sono reperti storici di un passato che è stato scalzato da una superficialità che ha come unica profondità l’assuefazione. Ma non solo quella resa incondizionata passiva, si tratta di un’assuefazione arrogante, scintillante, modaiola, di cose che vanno fatte e che vanno dette, inconsapevolmente all’ora dell’apericena. Allora ripensi a Leo de Berardinis che con il suo sguardo proiettato in un orizzonte poetico diceva: sono già tra di noi… chi? Gli ultracorpi…

La depressione prende spazio, ovvio. E non deve, in questa pingue immane frana.

Ci vuole coraggio. Saremo seme e vento che lo sparge. Così sarà. Ma come? Potremmo dire che continuiamo a coltivare cultura per non continuare a vergognarci. Per non dover pensare tra qualche decennio che siamo stati così imbecilli a non vedere, a subire passivamente la massiccia distruzione del mondo, dei nostri paesaggi, dei boschi, dei fiumi, delle relazioni tra persone. Per non dire delle guerre, delle cose infami, della ferocia e della schiavitù, delle morti in mare di chi scappa, delle non accoglienze, dell’aver calpestato ogni ideale, ogni idea, ogni credo religioso per fingere normalità. Mentre fuori l’oscurità prende il sopravvento e l’impensabile per le nostre coscienze diventa ineluttabile.

Potremmo dire che lo facciamo per noi. Per non sentirci degli inetti al servizio delle mode e dei Vip che ci scelgono e ci vogliono a servizio. Per raccontarci ai nipoti come resistenti belli bellissimi.

Ma penso che non basti. Noi non siamo librai, vignaioli, giornalisti, poeti, viandanti, contadini, operai, infermieri, medici, scrittori, siamo l’esempio che diamo, siamo noi il nostro agire come seme da coltivare e curare, noi la cultura materiale e immateriale che disegna paesaggi, costruisce utopie e sogna un mondo migliore facendo in modo che il mondo sia migliore davvero.

Nel piccolo, con dolcezza, profondità e passione: la libertà è una forma di disciplina. Nella lentezza di chi sa che il percorso è lungo e faticoso. Ma che occorre esserci, per non assistere passivi alla trasformazione delle cose belle in volgarità, più o meno di successo; per non perdere di vista ciò per cui vale la pena lottare: l’amicizia, la partecipazione, la bellezza, gli abbracci, la poesia, la fiducia, la libertà, l’uguaglianza di diritti e di doveri, la conoscenza diffusa e non per pochi a discriminare chi ha meno. D’altra parte, assomiglia all’ingenuità la saggezza?

Tags: Polemos
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