La commissione elettorale non ha annunciato un singolo risultato per l’Assemblea Nazionale più di 11 ore dopo la fine delle elezioni, ma i conteggi non ufficiali dei canali televisivi mostrano che i candidati indipendenti sono in testa nella maggior parte dei collegi. Alla vigilia invece ci si aspettava che il ‘Pakistan Muslim League Nawaz’ del tre volte premier Nawaz Sharif vincesse il maggior numero di seggi, con il placet dei militari.
128 milioni di potenziali elettori, in un Paese di 241 milioni di abitanti di cui il 40% analfabeta, che devono eleggere i 266 membri di un Parlamento (70 seggi sono riservati), scegliendoli tra più di 5.000 candidati, poi i rappresentanti di quattro assemblee provinciali, tra più di 12.000 candidati. E immaginate che debbano farlo recandosi in uno delle migliaia di seggi elettorali distribuiti in un Paese immenso.
Immaginate che il giorno delle elezioni, appena prima dell’apertura dei seggi, vengano interrotte tutte le comunicazioni sui telefoni, incluso internet. Non è fantapolitica ma ciò che è accaduto ieri in Pakistan. Col fatto che c’è poco da ridire visto che il Pakistan è una potenza nucleare, la solo dell’Islam, con sue bombe atomiche puntate sulla confinante India induista e altrettanto nazionalista, diventato recentemente il Paese più popoloso del pianeta.
L’interruzione delle comunicazioni è stata annunciata dal ministero degli Interni e giustificata come necessaria «per mantenere l’ordine pubblico e affrontare eventuali minacce terroristiche», anche alla luce degli attentati della vigilia, nella provincia del Belucistan. Dove due esplosioni, poi rivendicate dalla branca locale dello Stato islamico, hanno provocato almeno 28 vittime.
Ma anche le precedenti elezioni, inclusa quella che nel 2018 aveva portato alla vittoria dell’ex giocatore di cricket Imran Khan e del suo partito Pakistan Tehreek-e-Insaf, erano state anticipate e segnate da attentati e minacce, senza che questo portasse allo stop di internet.
Per l’attuale primo ministro a interim Anwaar-ul-Haq Kakar, burocrate messo alla guida del governo che ha sostituito quello di Imran Khan destituito con un organizzato voto di sfiducia nell’aprile 2022, la giornata elettorale è stata comunque buona, l’affluenza alta – i primi numeri arriveranno oggi, «a fortificare la nostra democrazia». Forse sì, ma non bene per lui.
Voto già compromesso dalla repressione verso il partito di Imran Khan, a cui è stato negato perfino l’uso del simbolo elettorale e i cui candidati si sono dovuti presentare come indipendenti, è stato tutt’altro che democratico. Per Amnesty International, «un attacco senza mezzi termini ai diritti di libertà di espressione e di riunione pacifica. Più diretto e severo il giudizio degli esponenti del Pti, che denunciano «regime illegittimo e fascista».
Esercito e servizi segreti che, a 76 anni dall’indipendenza del Pakistan, continua a dettare le regole del gioco. Con il favorito, Nawaz Sharif, che godendo dell’appoggio dei militari ‘sbruffoneggia’, salvo inciampo clamoroso che sembra profilarsi dai risultati via tv dalle periferie dell’impero. Salvo omissioni e manipolazioni molto probabili