
Assange è indagato negli Stati Uniti per spionaggio e, se estradato, dovrà affrontare un processo in cui rischia fino a 175 anni di reclusione per aver diffuso documenti diplomatici, dell’intelligence e dei vertici militari americani coperti da segreto, rivelando abusi e crimini commessi in vari contesti internazionali, tra cui la guerra in Iraq e in Afghanistan.
Come scrive l’emittente Bbc, i due giudici di Londra «danno al governo americano tre settimane per garantire che Assange possa fare affidamento sul primo emendamento della Costituzione americana», quello che garantisce la libertà di parola. Esattamente il rovescio della versione accusatoria Usa in cui prevale la discutibile applicazione del segreto ad azioni violente o immorali da parte di organi dello Stato, rispetto alla decantata e troppo spesso violata libertà d’informazione.
Ora, la richiesta formale e atto ufficiale di Londra che, una volta negli Stati Uniti, Assange potrà godere del Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che tutela la libertà di espressione, e che non avrà trattamenti diversi, visto che è un cittadino australiano. L’Alta Corte ha anche chiesto che, in caso di condanna, la pena non sia una condanna a morte, e lì saremmo all’assurdo, comunque previsto dalla legge per quella spropositata accusa di spionaggio.
Assange era stato incriminato nel maggio del 2019 dagli Stati Uniti, che lo accusano di aver violato i siti del suo governo e di aver divulgato documenti contenenti i registri delle guerre in Afghanistan e Iraq, oltre che comunicazioni diplomatiche del 2010. Nel gennaio del 2021 il tribunale penale di Londra aveva rifiutato la richiesta di estradizione nel paese. Nel giugno del 2022, dopo altri ricorsi, la ministra dell’Interno britannica Priti Patel del discusso premier Boris Johnson, aveva approvato la sua estradizione, con la possibilità di fare ricorso.
Ma non siamo ancora alla fine del garbuglio giudiziario. Se la Corte di Londra accetterà la sua richiesta di appello, comincerà un nuovo processo nel Regno Unito, mentre se la rigetterà, Assange potrebbe fare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, cosa che metterebbe in pausa il processo di estradizione. Ora intanto la questione rimbalza negli Stati Uniti, a cui quelle severità vendicativa contro il giornalista sta costando un prezzo altissima di immagine e credibilità.
Secondo indiscrezioni raccolte dal Wall Street Journal, il dipartimento di Giustizia americano sta valutando se consentire al 52enne fondatore di Wikileaks di riconoscersi colpevole soltanto di «cattiva gestione di informazioni riservate», un reato decisamente meno grave dell’incriminazione per furto di segreti di stato. Così la magistratura Usa potrebbe chiudere l’imbarazzante controversia col giornalista australiano concordando una condanna a pochi anni di prigione, con l’immediata libertà per l’incredibile detenzione preventiva scontata.
Assange è in carcere a Londra dall’aprile 2019, quasi cinque anni, arrestato all’uscita dell’ambasciata dell’Ecuador, dove era rimasto rinchiuso per i sette anni precedenti, dopo che il governo sudamericano gli aveva cancellato l’asilo politico concesso in un primo tempo.