«Gli ultra-ortodossi e l’estrema destra guadagnano terreno in tutto il Paese -titola Haaretz-, e i partiti sionisti religiosi e gli oltranzisti sono diretti verso una vittoria schiacciante a Gerusalemme. Mentre Tel Aviv e Haifa rimangono roccaforti liberali».
Elezioni amministrative, assaggio di voto politico sul futuro dello Stato ebraico. L’altissimo tasso di astensione ha in qualche modo ‘drogato’ i risultati finali delle 241 località nelle quali ci si è recati alle urne. Ma ‘alcuni trend’ colti da Haaretz, sembrano chiari. In generale l’asse del Paese pare essersi spostato ulteriormente a destra. Diciamo, su posizioni con forti problemi rispetto alla concezione occidentale condivisa di democrazia.
Il caso specifico di Gerusalemme è sintomatico e particolarmente delicato, per le ripercussioni che potrebbe avere in proiezione futura. Sindaco è stato confermato, a valanga, Moshè Lion del Likud, lo stesso partito del premier Netanyahu. Ma è la composizione del Consiglio che lascia tutti sorpresi: secondo calcoli approssimativi, ben 17 seggi su 30 andrebbero ai partiti religiosi ultra-ortodossi. Se si aggiungono i 3 dell’estrema destra della lista King-Noam e i 2 del gruppo Lion-Likud, allora agli altri restano le briciole.
Vuol dire che Gerusalemme sarà amministrata da un manipolo di estremisti ‘duri e puri, pronti a fare saltare il banco della convivenza (forzata) con gli arabo-israeliani e, come scrive Haaretz, anche con gli stessi ‘israeliani laici’. Più in particolare, si temono profonde implicazioni per la città, «in termini di budget per le istituzioni educative e culturali, sul modo in cui lo Shabbat viene osservato nella sfera pubblica e su altre questioni centrali».
Alla ‘deriva teocratica’ di Gerusalemme fa, però, da contraltare la riconferma (per la sesta volta) del sindaco laburista di Tel Aviv, l’ormai leggendario Ron Huldai, uno stimato ex comandante dell’Aeronautica militare, eroe della guerra dei Sei giorni. Huldai, in uno scontro tutto progressista, ha sconfitto la candidata di Yesh Atid (‘C’è futuro’), l’ex Ministro dell’Economia, Orna Barbivay. Anche lei una ‘generalessa’, scelta come possibile sindaco personalmente dall’ex premier Yair Lapid.
Dal canto suo, Huldai, nel ringraziare il suo elettorato per la rinnovata fiducia accordatagli, ha voluto rimarcare il significato, altamente simbolico, della vittoria laburista a Tel Aviv: «Insieme continueremo a mantenere la nostra città come una roccaforte democratica e tollerante, come un centro di cultura e arte, una casa per ogni minoranza». Ad Haifa, invece, si dovrà andare al ballottaggio tra il laburista Yona Yahav e David Etzioni, che rappresenta una coalizione civica che imbarca anche gli ultra-ortodossi di Shas.
Occorre dire che gli esponenti religiosi Haredi hanno sbaragliato il campo in molte altre città, come a Safedi ed Elad. Naturalmente, al di là dei problemi specifici di ogni località e delle questioni irrisolte, esistono temi unificanti, che finiscono col contrapporre il governo centrale alle amministrazioni territoriali. In Israele, nell’ultimo anno, ha tenuto banco un aspro contenzioso sulla gestione del prelievo fiscale.
E non è un caso che, all’origine di questo vero e proprio scontro spesso anche fisico, ci sia un personaggio molto chiacchierato come Bezalel Smotrich, il Ministro delle Finanze. Un estremista noto solo per gettare benzina sul fuoco di tutte le crisi. Conosciuto come ‘Piano per il Fondo Arnona’, non è altro che un espediente col quale il governo Netanyahu sottrae una parte delle imposte incassate dai Comuni, per spenderla dove gli pare.Per esempio, in Cisgiordania, per costruire insediamenti di coloni.
L’ultimo anno è stato un festival di scioperi: contro ‘riforme’ fiscali come questa, e soprattutto contro quello che è stato definito da mezzo mondo «il colpo di Stato giudiziario» per ridurre l’autonomia della magistratura e salvare il premier dal processo per corruzione che lo attende. Poi è arrivata la guerra.