‘Grosse koalition’? Da, escludere. Le formazioni politiche più importanti hanno programmi troppo diversi, anche se poi, gli impegni finanziari del Paese finiscono per imporre strategie obbligate. Il partito al potere, ‘Nuova Democrazia’ del premier attuale, Kyriakos Mitsotakis, centro-destra, è accreditato di un 35-36%. ‘Syriza’, il blocco di sinistra di Alexis Tsipras, viene stimato intorno al 30%; mentre tra il 9 e il 10% dovrebbe andare al ‘Pasok’, il Movimento panellenico socialista, di centro-sinistra, guidato da Nikos Androulakis. La Camera greca ha 300 deputati, per cui ci vogliono almeno 151 seggi per poter governare. Attualmente ‘Nuova Democrazia’ ne ha 158, conquistati in base alla vecchia legge elettorale, parzialmente maggioritaria, cambiata da ‘Syriza’, quando era al potere, in proporzionale.
È complicato, lo sappiamo. Anzi, bizantino, ma bisogna spiegarlo perché è la chiave di tutto quello che succede in questi giorni in Grecia.
Dunque, per una serie di contorsioni costituzionali, la legge proporzionale di Syriza si può applicare solo adesso. Ma alle elezioni si è presentata una processione di 37 partiti, e almeno 6 supereranno lo sbarramento del 3%. Nel frattempo, il premier Mitsotakis ha fatto approvare un’altra legge, ‘maggioritaria corretta’, che però potrà entrare in vigore solo a partire dalle elezioni che verranno (eventualmente) dopo quelle di maggio.
Considerato che, nella richiesta ufficiale di scioglimento del Parlamento, Mitsotakis parla di «superiori interessi nazionali, derivanti dalla stabilità politica», alla fine tutto va tradotto come segue:
A questo punto, basterà dare un’occhiata alla geografia parlamentare attuale, per comprendere come sarà difficile accelerare il processo di polarizzazione politica della futura Grecia. Le due ‘estreme’, ‘EL’ a destra e ‘Mera’ a sinistra, viaggiavano entrambe intorno ai 10 seggi, aggiudicandosi ognuna poco meno del 4% dei consensi. I comunisti di ‘KKE’, col 5,30% arrivavano a 15 seggi. Ma, in un sistema ‘proporzionale puro’, questi voti devono essere ricalcolati e ritrasformati in un numero di eletti probabilmente più alto. Cioè, detto in parole povere, dalle elezioni di domenica dovrebbe uscire una Grecia molto più ingovernabile di prima. E allora, queste elezioni che senso hanno? Visto come stanno le cose, diciamo che sono il passaggio indispensabile per ‘sdoganare il maggioritario’. E poi, paradossalmente, diventano anche una specie di spot elettorale per le prossime consultazioni.
I greci hanno sentimenti misti nei confronti dell’Occidente e dell’Europa in particolare. Gli ultimi 12 anni sono stati molto pesanti, perché hanno dovuto seguire, sotto dettatura, le regole di condotta del virtuosismo economico che partivano dagli organismi internazionali. A cominciare dalla Commissione di Bruxelles. E va dato atto ai governi che si sono succeduti, da quello di sinistra presieduto da Tsipras all’attuale destra, di aver saputo mettere l’ideologia da parte, per seguire solo esclusivamente le ragioni dell’interesse nazionale e del bene comune. Se adesso il Paese che è la culla della nostra civiltà, fa scrivere all’Economist, «Grecia, una storia di successo europea», è perché il popolo ellenico ha stretti denti, ha lavorato duro e ha pagato.
Oggi, dice l’Economist, l’affidabilità dei titoli greci vale quanto quella dei titoli italiani. Certo, le zone d’ombra sul sistema sociale e produttivo sono ancora diffuse, perché il Paese cresce a macchia di leopardo.
Ci sono ancora troppe ombre e per molti, la modernizzione tanto reclamizzata da Mitsotakis è solo uno slogan di facciata. Il terribile incidente ferroviario di febbraio, in Tessaglia, nel quale sono morte 57 persone, ha lasciato il segno. È stato il simbolo, di una sorta di ìmenefreghismoì infrastrutturale del governo. Così come ha lasciato una traccia indelebile lo scandalo sulle intercettazioni telefoniche, che ha visto coinvolta l’Intelligence nazionale. Comunque sia, al di là dei successi rivendicati da Mitsotakis, resta la realtà di un Paese ancora profondamente diviso dalla sofferenza.
Che è percepita da ampie fasce della popolazione. O come la ricchezza, che non viene equamente redistribuita. Forse anche per questo, secondo gli analisti, potrebbe non bastare nemmeno il voto di luglio a dare alla Grecia un governo che rappresenti tutti.