Il presidente ucraino ritorna in patria con promesse di missili e droni a lungo raggio, decine di mezzi corazzati, sistemi antiaerei e tonnellate di munizioni. Tanto ma non tutto, con il protagonista che si applaude. «Sono estremamente soddisfatto dei nostri risultati e accordi – ha fatto sapere Zelensky – e sono molto grato a Rishi (Sunak). È stato un buon incontro con Giorgia (Meloni), con Olaf (Scholz), Emmanuel (Macron) e oggi nel Regno unito. Pacchetti di difesa davvero importanti e potenti».
Ma l’obiettivo principale ucraino era quello di ottenere jet da combattimento. E qui Zelensky ammette promettendo: «Nel prossimo futuro sentirete alcune decisioni molto importanti, ma dobbiamo lavorarci ancora un po’», ha aggiunto Zelensky. Di fatto, obiettivo mancato, almeno per ora. Macron: «Niente caccia, ma formeremo i piloti ucraini». Londra che invece vorrebbe, «non dispone degli F-16 chiaramente richiesti dall’Ucraina ma di Typhoon e F-35».
La scorsa settimana Londra ha confermato di aver inviato all’esercito ucraino il primo lotto di missili da crociera «Storm Shadow», con un raggio d’azione di oltre 250 km e diventando il primo Paese a fornire all’Ucraina missili a lungo raggio. Il premier britannico ha anche annunciato che tenterà di fare pressioni sugli alleati alla prossima riunione del G7 in Giappone, prevista per il fine settimana.
Tutto questo mentre Li Hui, rappresentante speciale della Cina per gli affari eurasiatici ed ex ambasciatore in Russia, dà il via alla missione in Europa che lo porterà prima a Kiev (probabilmente già oggi) e poi a Mosca, per trovare una ‘soluzione politica’ –accortezza di parole-, né tregua né pace ma il tutto e il nulla della ‘soluzione politica’. Li Hui si recherà anche in Polonia, Francia e Germania «per comunicazioni approfondite». E certamente si parlerà anche di armi, per non esagerare far esplodere il mondo.
A suo modo importante anche la sottolineatura che «dallo scoppio della crisi ucraina, la Cina ha sempre mantenuto una posizione obiettiva e imparziale, promuovendo attivamente colloqui di pace».
La novità più recente nella guerra delle rivelazioni-drone, pilotate a distanza, e di sospetta veridicità, la ‘fuga di notizie’ dal Pentagono, pubblicata dal Washington Post sullo scontro tra Yevgeny Prigozhin e i vertici militari russi. Con il capo della Wagner che avrebbe fornito alle truppe ucraine le coordinate per bombardare quelle russe, in cambio del ritiro delle forze di Kiev da Bakhmut. Prigozhin ha smentito e grida al complotto orchestrato da elementi corrotti dell’establishment che circonda Putin.
Il Cremlino deve temere lo sfaldarsi del blocco di potere che lo sostiene o si tratta soltanto dei colpi di testa di una personalità – Prigozhin – difficile da tenere sotto controllo ma non davvero minacciosa per gli equilibri interni? «Siamo di fronte a una fase fluida della crisi», scrive Adrea Lavazza su Avvenire, ricordando come Papa Francesco «ha visto in parte respinto il suo sincero sforzo da un presidente ucraino timoroso di mostrarsi meno che inflessibile sul tema dell’integrità territoriale del proprio Paese e, per questo, quasi scortese nei confronti di un’autorità spirituale che cerca solo il bene di tutte le parti».
Frenesia diplomatica ucraina anche a cercare di frenare l’assuefazione che in parte spegne l’indignazione delle opinioni pubbliche occidentali e la loro volontà di rimanere al fianco di Kiev nel conflitto contro Mosca. E l’attendismo militare ucraino, che può essere interpretato anche come la speranza che le divisioni interne di Mosca e l’iniziativa di Xi inducano Vladimir Putin a sedersi a un tavolo con condizioni meno rigide anche senza il cedimento totale delle linee di difesa allestite nelle zone sotto occupazione.
Una scommessa da parte ucraina dovuta forse ai timori che lo sfondamento non sia così facile e che la situazione nella Federazione sia più sfilacciata di quanto appaia e con minacce ancora più pericolose di Putin.