Il diplomatico tedesco Bernhard von Bülow, che fu ambasciatore a Roma, ministro degli esteri e cancelliere di Guglielmo II, conosceva molto bene l’Italia anche grazie a parentele e relazioni personali. A parte gli anni di fine secolo (1894-1897) trascorsi appunto a Roma come ambasciatore tedesco, aveva sposato un’italiana: non un’italiana qualsiasi perché Maria Beccadelli, principessa di Camporeale, era figlia di Laura Acton Beccadelli che, in seconde nozze, aveva sposato l’ex presidente del consiglio Marco Minghetti ed era ben introdotta a corte. Come schiere di tedeschi che lo avevano preceduto, Bülow nutriva comunque una certa simpatia nei confronti dell’Italia, anche se non mancò in varie occasioni di esternare qualche garbata opinione critica: nel gennaio 1902, già cancelliere, nel corso di un dibattito in parlamento in cui si discuteva la posizione italiana formulò la celebre frase della ‘politica dei giri di valzer’.
In quel particolare momento infatti, mentre si discuteva il rinnovo della Triplice Alleanza tra Austria, Germania e Italia, quest’ultima aveva in corso trattative con la Francia – ovvero una nazione nel campo opposto – per stipulare un trattato di ‘amicizia’ italo-francese. E sulla differenza tra ‘amicizia’ e ‘alleanza’, per giustificare l’operato italiano, si era espresso del resto il ministro degli esteri del regno Giulio Prinetti sollevando però impertinenti rilievi nelle diverse cancellerie europee.
Mezzo secolo prima Camillo Benso di Cavour aveva capito che senza l’aiuto delle potenze europee non sarebbe stato possibile ottenere l’Unità d’Italia: il suo capolavoro fu senza dubbio la guerra di Crimea a fianco di Francia e Inghilterra cui seguirono il congresso di Parigi e la II Guerra d’indipendenza nel 1859 in alleanza con la Francia. Le cose però si complicarono con la III Guerra d’indipendenza nel 1866 in cui gli attori principali furono il regno di Prussia, l’impero d’Austria e il giovane regno d’Italia. In quell’occasione si scelse l’alleanza con la Prussia contro l’Austria e fu annesso il Veneto. Nel 1870, mentre la Francia era impegnata in una dura guerra con la Prussia, fu poi la volta di Roma.
I rapporti con la Francia divennero tesi anche per il semplice motivo che, a parte la neutrale Svizzera, le frontiere orientali francesi dalle Alpi al Reno non sembravano più sicure. A ridefinire gli assetti europei seguì il congresso di Berlino nel 1878, ma pochi vantaggi ne vennero all’Italia. «Noi abbiamo le mani nette», disse il presidente del consiglio Benedetto Cairoli criticando l’occupazione austriaca della Bosnia, mentre altri osservarono che erano però ‘vuote’.
L’ultimo atto delle tensioni con la Francia fu infine il protettorato francese sulla Tunisia: di fronte allo smacco subito per la mancata influenza sul paese, dove tra l’altro viveva una numerosa comunità italiana, si operò allora la scelta dell’alleanza con Austria e Germania.
Venne così stipulata nel 1882 la Triplice, a carattere difensivo nei confronti di Francia e Russia. L’accordo sarebbe stato rinnovato ogni cinque anni, ma solo nel 1887 (come dire dopo un periodo di prova) l’Italia ottenne un riconoscimento di interessi in Africa Settentrionale e nei Balcani. Nei Balcani però l’Austria non sembrava disposta a cedere e cominciò così l’avventura africana, condotta da Francesco Crispi e sempre in prospettiva anti-francese, che si concluse tuttavia piuttosto male ad Adua nel 1896. Il governo successivo, presieduto da Antonio di Rudinì, cominciò a pensare che invece un riavvicinamento alla Francia fosse necessario e, oltre ad un accordo sul Nord Africa, lentamente e con pazienza – come avviene spesso in diplomazia – si giunse anche ad altri accordi.
Nel 1902, in occasione appunto del rinnovo della Triplice Alleanza, fu sancito però anche un accordo riservato con la Francia nel quale ci si impegnava a non muovere guerra qualora quella nazione fosse stata oggetto di provocazione diretta da parte di Austria e Germania. Nel 1909 venne firmato anche il trattato di Racconigi con la Russia, nemica dell’Austria, il quale prevedeva il mantenimento dello status quo nei Balcani: indirettamente l’Italia non rinunciava a pretese sull’Alto Adriatico, ma lasciava la Russia a fare da spauracchio alla pur alleata Austria-Ungheria.
Fu un insomma un altro patto segreto, firmato a insaputa della Triplice Alleanza, ennesima manifestazione di quanto l’Italia intendesse tenersi aperte più porte per poi scegliere quella più conveniente.
Alla vigilia della Prima Guerra mondiale le rivalità austro-italiane in Adriatico erano ormai manifeste, soprattutto sulla questione dell’Albania; dopo l’attentato a Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914, il 2 agosto l’Italia dichiarò ufficialmente la propria neutralità. Non si trattava in realtà di una forzatura in sé, perché l’alleanza era difensiva, valida cioè solo nel caso in cui le altre potenze fossero state attaccate: come invece sappiamo fu l’Austria appoggiata dalla Germania a dichiarare guerra alla Serbia. Da qui ebbero inizio le trattative per spingere l’Italia a entrare in guerra con Francia e Gran Bretagna e le rivendicazioni italiane (i territori fino al displuvio delle Alpi; Valona, in caso di spartizione dell’Albania; il Dodecanneso, in caso di spartizione della Turchia, e la zona di Adalia in Asia Minore; la partecipazione all’indennità di guerra; la rettifica del confine libico-tunisino e soprattutto le rivendicazioni in Dalmazia e sulle isole antistanti).
Il patto di Londra, ossia l’accordo ad entrare in guerra contro l’Austria, fu siglato il 26 aprile 1915: fu un patto segreto, negoziato cioè perfino all’insaputa del parlamento e della maggioranza dei ministri, per non parlare del fatto che, nel periodo tra la firma e la dichiarazione di guerra del 23 maggio, l’Italia appartenne contemporaneamente a due alleanze contrapposte. Interessante notare poi che la dichiarazione di guerra fu presentata solo all’Austria e che quella alla Germania fu presentata invece nell’agosto 1916, ossia più di anno dopo il ‘maggio radioso’.
Alla fine della guerra però le cose presero una piega diversa. Tra le condizioni generali in discussione a Versailles, ci fu la cessazione della cosiddetta ‘diplomazia segreta’, ossia indirettamente la decadenza degli accordi stipulati con il patto di Londra. Altro problema fu la questione delle nazionalità: soprattutto da parte anglo-americana e francese si mise in dubbio l’effettiva maggioranza italiana in alcuni territori contesi. L’altra grande questione fu geopolitica: l’Europa dopo la guerra cambiò radicalmente.
L’Italia voleva solo sconfiggere l’ingombrante Austria-Ungheria, ma questa invece cessò di esistere del tutto e si dissolse in numerosi stati dell’Europa orientale (come Cecoslovacchia e Jugoslavia) sui quali si affermò ben presto l’influenza francese a scapito di quella italiana. Inoltre, preoccupata dalla possibile espansione tedesca in Austria, l’Italia esercitò una sorta di protettorato cercando di mantenere la Germania distante, giungendo perfino a riappacificarsi con la Francia nel 1935 e a siglare un accordo (anche questo segreto) di difesa comune. Quando però si affacciò il sogno dell’impero africano, la questione dell’indipendenza austriaca fu liquidata come questione interna tedesca.
L’Italia, nel frattempo isolata, sia in Europa, sia alla Società delle Nazioni, dovette accettare come alleata la pericolosa Germania di Hitler, con le conseguenze che tutti conosciamo.