La libertà di stampa in Ucraina e il nostro governo. «Il silenzio non è d’oro, è di piombo»

Si è alzato il muro del silenzio sulla bruttissima vicenda dei cronisti italiani cui è stato impedito di entrare in Ucraina o è stato tolto l’accredito per poter svolgere la propria attività professionale. Quest’ultima non ha a che fare con la propaganda, bensì con la indispensabile cronaca su ciò che accade nell’orrendo conflitto in corso. Le persone hanno il diritto di sapere. Non può vincere la classica strategia del segreto, tipica delle guerre.
I principali telegiornali hanno oscurato la notizia, pur essendo proprio i giornalisti free lance colpiti dalla censura di Kieva, autori di reportage utilizzati spesso proprio per la Rai, oltre che per altre rinomate testate della carta stampata.
Si tratta di dimenticanza o di censura? Intanto, c’è da cogliere un’occasione immediata: domande a Giorgia Meloni, nella conferenza stampa della presidente del consiglio sul suo viaggio in Ucraina da tanta immagine e così poca sostanza.
L’analisi commento di Vincenzo Vita per dare al nostro piccolo intervento maggiore autorevolezza, usando per la copertina il disegno di Alekos Prete

Morte in diretta della libertà di informare e di essere informati

Una triste coltre di silenzio avvolge la vicenda dei giornalisti italiani cui è stato impedito di entrare in Ucraina o è stato revocato l’accredito per poter svolgere la propria attività professionale. Vi è l’ordine di non parlarne? Ne ha parlato –invece- in una diretta online ieri mattina l’associazione Articolo21, in collegamento con uno dei cronisti – Salvatore Garzillo-, l’avvocata Ballerini che segue il caso, il presidente dell’ordine dei giornalisti Carlo Bartoli, nonché i nuovi presidente e segretaria della federazione nazionale della stampa Vittorio Di Trapani e Alessandra Costante.

Zelensky mediatico questa volta silente

«Auspichiamo un’azione forte del governo italiano per garantire ai colleghi la possibilità di lavorare e soprattutto per evitare loro i possibili rischi cui potrebbero essere sottoposti. Una situazione che non ci fa stare tranquilli», ha affermato Bartoli, impegnato fin dall’inizio della crisi a cercare una soluzione. E, per incalzare gli interlocutori, Di Trapani: «Stiamo seguendo minuto per minuto la vicenda, in contatto con il ministero degli esteri e con le organizzazioni internazionali dei giornalisti. Ci risulta che l’ambasciata italiana si stia muovendo».

Codardia di testata

Si è convenuto con Giuseppe Giulietti sulla particolare gravità della situazione, oscurata non casualmente dalle principali testate, ivi comprese quelle della Rai, che pure si sono avvalse dei contributi dei cronisti ora imbavagliati.  Quali sono le accuse mosse dai servizi segreti nei riguardi di chi non fa propaganda, bensì informazione sulla guerra? Vale anche in tale circostanza la solita terribile strategia del segreto, in base alla quale i misfatti e le atrocità non devono venire a conoscenza dell’opinione pubblica?

Tentazione dei regimi

Una peculiarità dei regimi è proprio simile tendenza, volta a nascondere i lati oscuri e indicibili del potere. La trasparenza è la condizione ineludibile della democrazia, come recita la campagna per la libertà di Julian Assange, che con WikiLeaks mise il naso negli arcani dei conflitti in Iraq e in Afghanistan.

Anniversario e buco nero

Auguriamoci che il quadro si dipani e non ci si incammini verso un buco nero. In verità l’Ucraina, prima ancora dell’aggressione russa, non si segnalava per particolari aperture sui media. Anzi, sembrava gareggiare proprio con Mosca per bavagli e repressione. Del resto, occupava il 101° posto nella classifica mondiale sul tasso di tutela dell’informazione. E non è lecito dimenticare la tragica uccisione nel 2014 ad opera dell’esercito (come recita la sentenza della magistratura) del fotoreporter Andrea Rocchelli, impegnato a documentare la guerra del Donbass.

La Farnesina (e qualche ministro) su Kiev

Giorgia Meloni non può rimanere silente davanti a quanto sta accadendo. Se ha a cuore, come talvolta afferma, il diritto fondamentale sancito dalla Costituzione deve prendere posizione. Alfredo Bosco, Andrea Sceresini e gli altri rischierebbero di non potere scrivere e produrre servizi per cinque anni, se la mannaia scendesse inesorabile.

Ecco perché il silenzio non è d’oro: è di piombo.

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