
Nella foto di copertina il risultato del bombardamento aereo del 12 aprile 1999 che colpì il ponte di Grdelica, nella Serbia del Sud a 300 km circa da Belgrado, assieme ad un treno di pendolari che passava in quel momento, provocando 16 morti, tutti civili, e decine di feriti.
«Buona sera signore e signori. Ho appena dato ordine al comandante supremo delle Forze alleate, il generale Clark, di dare inizio alle operazioni nella Repubblica federale di Jugoslavia». Sono le 23 del 23 marzo 1999 e questa fu la dichiarazione del segretario della Nato, lo spagnolo Javier Solana.
Vigilia del 24 febbraio 2022, data della invasione delle truppe russe in Ucraina. La notte tra il 23 e il 24 marzo di 25 anni fa, l’attacco Nato ‘vola Alto’, con il primo bombardamenti su tutta la Jugoslavia. Momenti di tragica attenzione anche nazionale. Lilli Gruber dallo studio Tg1 che sta oltrepassando da minuti la chiusura per poter dare la notizia delle prime bombe su Belgrado da tempo con le sirene di attacco aereo ad assordarci, e il solo corrispondente Rai invocato dal Tg2 appena iniziato. E’ iniziata la prima guerra in Europa dopo la seconda mondiale.
Il 24 le operazioni, sempre ‘interventi umanitari’, sono già 500. Bombardamenti da ‘seconda guerra mondiale’, pochi ordigni mirati e tante bombe ‘lì attorno’ che fanno tanto ‘danni collaterali’ ammazzando civili. Bombardamenti che dureranno 78 giorni e -ripetiamo-, scaricheranno 2.700 tonnellate di esplosivo. Resta nella memoria di alcuni di noi che erano dalla parte dove le bombe colpivano, la risposta del consigliere del presidente americano Clinton, all’allora presidente del Consiglio D’Alema: «Che faremo se Milosevic resiste?». «Continueremo a bombardare».
Da quel 23 marzo 1999 sono passati venticinque anni. «È una data che è utile ricordare, perché è stata l’occasione di una serie di significative ‘prime’ su cui si è ancora troppo poco riflettuto», scrisse cinque anni fa Luciana Castellina. Che noi riteniamo utile -proprio per l’oggi Ucraino-, andare a rivisitare.
È la prima guerra che si è combattuta sul suolo europeo dalla fine del conflitto mondiale. Un’aggressione (chiamala pure umanitaria) di europei a un altro stato sovrano europeo, del sud-est dell’Europa. E fine della favola secondo cui la creazione dell’Unione europea «avrebbe per sempre allontanato lo spettro degli scontri fratricidi fra le nazioni del vecchio continente».
Per prima volta che viene stracciato l’accordo internazionale di Helsinki, secondo cui i confini degli stati continentali devono essere considerati intangibili. La violazione della Carta dell’Onu. La Nato intervenire militarmente senza mandato del Consiglio di sicurezza, che sancisce l’accaduto a guerra finita con una risoluzione, le 1244, ampiamente e ripetutamente beffata. E per la prima volta la guerra in Europa torna come strumento di regolazione dei rapporti internazionali, rovesciando i principi sui quali si era faticosamente costruita la pace mondiale dopo il ’45.
Altra prima volta, gli stati europei dell’Alleanza atlantica non si sono limitati a subire l’iniziativa americana ma si sono attivati direttamente mettendo a disposizione uomini, mezzi, basi, spazi aerei, già dal 13 ottobre 1998, con l’Act Order del Comando Nato. Scenario di guerra da esibire, forse, per alcuni, sperando di evitare il peggior che verrà. America diplomatica e quella con le stellette sotto il diretto comando di Madeleine Albright.
Diritto alla secessione con aiuto armato esterno per tutti o solo per alcuni? In questo caso, riconosciuto ai soli kosovari albanesi a sostegno statunitense, che diventano quindi automaticamente «patrioti», sebbene la risoluzione 1160 del 3 marzo 1998 del Consiglio di sicurezza dell’Onu avesse definito «terroristici» gli attentati delle formazioni Uck. L’applicazione pratica e pericolosissima di ‘stati etnicamente fondati’. E, memoria di pochissimi, l’allora capo della Cia, che fu di basilare sostegno alle azioni armate di rivolta albanese nella provincia serba, George Tenet, era figlio di una famiglia albanese fuggita da Tirana dopo la liberazione dal nazifascismo.
Nonostante l’articolo 11 della Costituzione, il nostro paese ha partecipato attivamente alla guerra contro Belgrado (la piccola Jugoslavia di Serbia e Montenegro allora uniti). Come per la mancata autorizzazione Onu, il Parlamento ha ratificato solo a posteriori le scelte del governo. «Il solo presidente della Repubblica Scalfaro provò ad obiettare che la cosa era ’illegittima’ -denunciò sempre Luciana Castellina-, ma venne convinto a tacere».
L’uso spregiudicato dei media, anche se non si tratta certo di una prima volta. «Ma mai prima di questa volta la verità dei fatti è stata a tal punto stravolta dai bombardamenti di schegge di emozione lanciati dal video sui telespettatori», ancora Castellina. Inganni a creare le condizioni di consenso popolare utili a far partire una guerra già decisa, a cominciare dall’eccidio di Racak, il 16 marzo, «nonostante i dubbi espressi da autorevoli giornalisti» (forse eravamo uno o due, e inascoltati). Ma come ho scritto anche su qualche libro del testimone sul campo, la guerra è come le bombe che la rappresentano, partono sempre intelligenti ma quando arrivano sul bersaglio si scoprono sempre cretine e assassine.
Per il Kosovo la giustizia internazionale fu praticamente cancellata. Asvolgere la funzione di ‘polizia giudiziaria’, direttamente la Nato e i servizi segreti dei suoi paesi membri. E in un mondo caratterizzato da una assoluta asimmetria dei poteri – osservò allora l’esperto di diritto internazionale, Danilo Zolo – «una giustizia internazionale si rivela impossibile».
«L’ingerenza umanitaria fondata sulla superiorità tecnologica (militare e mediatica), produce solo una pena di morte collettiva» (ancora Castellina). E 25 anni dopo il problema Kosovo è ancora tutto lì: aperto e drammatico, sebbene, dopo le bombe, i paesi Nato abbiano proceduto – non tutti – a un riconoscimento ufficiale dell’indipendenza del paese, calpestando ulteriormente le regole internazionali senza cercare una soluzione reale.