L’esercito ha detto di aver ucciso 200 uomini armati e di aver arrestato 900 persone sospettate di essere terroriste: le accuse sarebbero state confermate per 500 di queste. Verifiche sulla fondatezza delle accuse per il momento impossibile. secondo quanto riportato da vari giornali internazionali l’esercito israeliano avrebbe combattuto intensamente per diversi giorni nei corridoi e nei cortili degli edifici che costituiscono il grande complesso dell’ospedale al Shifa.
Nei primi giorni dell’attacco, l’accusa via BBC che l’esercito aveva tagliato l’energia elettrica e le forniture di acqua e stava impedendo ai medici di lavorare: «Siamo intrappolati nei nostri reparti. Un missile ha colpito il nostro edificio al primo piano, ferendo molte persone. Un uomo è morto e non abbiamo potuto aiutarlo. Stiamo lavorando soltanto con gli strumenti di primo soccorso, non possiamo operare perché non ci sono elettricità o acqua». L’esercito israeliano ha detto invece che i pazienti e il personale medico non sono stati attaccati, e che è stato creato un percorso sicuro per permettere loro di andare via. Ma le condizioni di molti pazienti rendevano impossibile spostarli in sicurezza. Secondo altre testimonianze, molti edifici che componevano l’ospedale sono bruciati o crollati.
Domenica in Israele decine di migliaia di persone in piazza in varie città (Tel Aviv, Beer Sheva, Haifa e a Gerusalemme, davanti alla sede della Knesset, il parlamento israeliano) per protestare contro il governo di Netanyahu e chiedere nuove elezioni. Le proteste dovrebbero continuare per altri tre giorni questa settimana, ma sono già considerate le più grandi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza contro Hamas. I manifestanti hanno criticato soprattutto il modo in cui il governo di Netanyahu sta gestendo i negoziati per la liberazione degli ostaggi.
Secondo il premier, all’ospedale per un’intervento chirurgico di ernia, ha sostenuto che indire nuove elezioni paralizzerebbe Israele per vari mesi e renderebbe difficile portare avanti i colloqui per la liberazione degli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas. Quello attualmente guidato da Netanyahu è considerato il governo più di destra della storia di Israele. Per avere la maggioranza in parlamento ha bisogno del sostegno di diversi partiti di estrema destra nazionalista, particolarmente aggressivi nei confronti dei palestinesi.
Netanyahu ha sempre rifiutato le proposte di Hamas per la liberazione degli ostaggi in cambio di un cessate il fuoco: secondo molti la sua posizione è influenzata dai partiti più estremisti, che potrebbero fare cadere il suo governo se accettasse le richieste di parte palestinese.
Netanyahu, che è il primo ministro israeliano rimasto in carica più a lungo, ha sempre dimostrato un’abilità particolare nel rimanere comunque al potere. Primo ministro per la prima volta nel 1996, da allora è sempre rimasto una figura centrale della politica israeliana, nonostante numerosi scandali. Secondo molti è il fallimento nella gestione della sicurezza, sulla spinta della campagna di espansione delle ‘Colonie’ del suo governo in Cisgiordania che ha reso possibile gli attacchi del 7 ottobre. Nonostante questo e le accuse di corruzione che lo attendono una volta fuori dal governo, la sua proposta di arrivare all’impossibile distruzione di Hamas, gli ottengono ancora il sostegno di una parte della popolazione.
In queste settimane è esplosa una crisi politica sull’esenzione dal servizio militare degli ebrei ultraortodossi. Privilegio che esiste dalla fondazione dello stato di Israele, ma che è diventata questione politica urgente dopo l’inizio della guerra con Hamas e l’invasione israeliana della Striscia di Gaza. Mentre centinaia di migliaia di israeliani laici sono stati chiamati in servizio nell’esercito come riservisti, moltissimi ebrei ultraortodossi hanno potuto evitare l’arruolamento grazie a un’esenzione religiosa che però è ritenuta ingiusta dalla gran maggioranza della popolazione del paese.
Polemica che si trascina da decenni. Di fatto, l’esenzione per gli ultraortodossi non è una legge dello stato, ma avviene grazie a una serie di esenzioni emanate dai governi come provvedimenti amministrativi rinnovati periodicamente. Ora è intervenuta la Corte Suprema, che prima ha imposto al governo di regolarizzare questa condizione, e poi, giovedì, ha ordinato il blocco dei fondi pubblici agli studenti ultraortodossi che non fanno il servizio militare. L’esenzione dal servizio prevede che questi si dedichino esclusivamente allo studio dei testi sacri ebraici, e per questo ricevono uno stipendio dallo stato. E lo stato spende circa 400 milioni di dollari all’anno per finanziare le yeshiva, le scuole religiose, e gli stipendi pubblici agli studenti prendono circa un terzo dei fondi.
L’esenzione militare per gli ebrei ultraortodossi nacque assieme allo Stato di Israele: nel 1948 David Ben Gurion, padre della patria, accordò a un piccolo numero di uomini che studiavano la Torah nelle yeshiva, la possibilità di evitare il servizio militare. Questo accordo in ebraico si chiama «Torato Umanuto», ‘lo studio della Torah è il suo lavoro’. Al tempo, gli ultraortodossi erano una minoranza, e l’esenzione concessa praticamente irrilevante. Ancora nel 1977, vent’anni dopo, gli uomini che godevano del ‘Torato Umanuto’ erano 800. Ma negli ultimi decenni la comunità ultraortodossa si è espansa enormemente, fino a diventare il 13 per cento della popolazione di Israele, più di 1,2 milioni di persone.
Scaduta l’ultima concessione amministrative senza legge, dalla nostra ‘Pasquetta’, gli uomini ultraortodossi sarebbero arruolabili. Il tribunale ha deciso che i poteri dati al ministro della difesa sono incostituzionali, e che se il governo vuole continuare a esentare dal servizio militare gli ultraortodossi deve far approvare dal parlamento una legge che codifichi il privilegio. Governo a rischio, e Israele in profonda crisi rispetto alla sua stessa natura democratica e un tempo, nettamente laica.
Molti ufficiali che hanno parlato nel tempo in forma anonima ai media si sono detti favorevoli a porre fine all’esenzione soprattutto per evitare che il resto della società sia demotivato dal mantenimento di trattamenti preferenziali: «Se il governo approva una legge che esenta una comunità […] rischiamo di non poter più contare sui riservisti la prossima volta», ha detto un generale israeliano all’Economist.