Quando la guerra si poteva evitare. ‘Formula Steinmeier’, mediazione accettata da Zelensky, poi qualcuno gli ha fatto cambiare idea. Chi?

Una settimana fa, dopo cinque mesi di “anticamera”, finalmente Zelensky si è deciso a ricevere, a Kiev, la visita del Presidente della Germania, Frank-Walter Steinmeier. Le leggi della diplomazia e della geopolitica, evidentemente, anche questa volta hanno avuto il sopravvento sugli umori personali. Anzi, dei sentimenti popolari.

‘Formula Steinmeier’

A diversi ucraini il capo della Repubblica federale tedesca non sta particolarmente simpatico. La sua colpa? Avere elaborato il più efficace tentativo di mediazione mai proposto, per arrivare a una soluzione negoziata, stabile e non transitoria, della crisi tra Russia e Ucraina, dopo il fallimento degli accordi di Minsk. Tutta la storia recente sugli antefatti del sanguinoso conflitto, ha costantemente esaltato il ruolo di Angela Merkel. Cosa senz’altro vera, ma il concreto “lavoro sporco”, da “sherpa” di lusso, l’ha fatto appunto l’allora suo Ministro degli Esteri. Ne è scaturita una proposta, ormai famosa tra i diplomatici e gli specialisti di relazioni internazionali, conosciuta come “Formula Steinmeier”.

La ‘road map’ della pace europea

Proprio partendo dalle intese siglate in Bielorussia, nel settembre 2014 e nel febbraio 2015, il piano tedesco prevedeva che al cessate il fuoco seguisse una “road map”, per arrivare a una risistemazione amministrativa complessiva del Donbas. La “Formula”, garantita da Francia e Germania e supervisionata dall’OSCE, ipotizzava elezioni nei territori separatisti, ma da svolgere secondo la legislazione ucraina. Sotto l’alta vigilanza dell’OSCE, che avrebbe dovuto certificare la trasparenza del voto, i risultati sarebbero stati decisivi per arrivare a una soluzione finale accettata da entrambe le parti. Il modello previsto era quello della concessione di una forte autonomia (si parla addirittura di “autogoverno”) del Donbas. Tuttavia, con una clausola importante: il controllo dei confini esterni sarebbe rimasto competenza delle autorità di frontiera ucraine.

L’autonomia dentro l’Ucraina negata

Lo sforzo di Steinmeier, però, non ha avuto successo, almeno fino alla metà del 2019, quando a Kiev e arrivato un nuovo Presidente: Volodymyr Zelenski. Prima di lui c’era l’eroe di Piazza Maidan, Petro Poroshenko, oligarca miliardario e politico di lungo corso, amico infervorato dell’Occidente, capace di prendere il potere sdoganando anche i gruppi ucraini più nazionalisti. Certo, per capire la crisi dell’Ucraina bisogna scavare a fondo nella storia di questo tormentato Paese. E, di sicuro, un’analisi disincantata della Presidenza Poroshenko potrebbe fornirci molte chiavi interpretative. Secondo diversi esperti, il potere di Poroshenko è stato caratterizzato dal tentativo di tenere assieme un quadro sociale e politico frammentato.

Un Paese lacerato da tante contraddizioni

Insomma, il clima nell’opinione pubblica non era il più adatto, per cominciare le trattative con i russi sulle basi indicate dalla “Formula”. Poroshenko aveva i suoi problemi a operare scelte che avrebbero potuto (come in effetti poi fu) seminare dissidi nella variegata coalizione che lo sosteneva, tra cui spiccavano molti elementi dei gruppi “duri e puri”. È come spesso succede in situazioni di questo tipo, la scelta più facile per Poroshenko, fu quella di non scegliere e di allungare il brodo. Mentre la situazione nel Donbas s’incattiviva. Questo scenario è cambiato improvvisamente con l’arrivo al potere, abbastanza inaspettato, dell’attor comico Zelensky.

Nell’estate 2019 il detonatore

L’estate del 2019 è la chiave temporale principale, per riuscire a collegare tutti gli elementi che hanno poi determinato l’esplodere della guerra in Ucraina. È allora che succede qualcosa dietro le icone del potere a Kiev. Un rimescolamento di carte e di ruoli che porta molte potenze straniere ad avere “più voce in capitolo”. Soprattutto da oltre oceano. Sappiamo dei contatti che il Presidente Usa Donald Trump ha subito cercato di instaurare con Zelensky. Così come ha ripreso quota il ruolo di “influencer ” dell’Unione Europea e in particolare di due Paesi, la Francia e la Germania. A questo punto cambia tutto.

Zekensky e la ‘Formula Steinmeier’

Zelensky e l’Ucraina accettano la “Formula” e a ottobre 2019 firmano il protocollo, assieme alla Russia, ai rappresentanti delle repubbliche autonome e all’OSCE. Non è un’accettazione incondizionata, sia chiaro, perché Kiev pretende il ritiro di eventuali militari russi presenti nel Donbas. Zelensky sottolinea efficacemente questa situazione dichiarando: “Non si può votare con una pistola puntata alla tempia”. Ma il Cremlino, col suo portavoce Dmitri Peskov, apprezza il piano Steinmeier, affermando che questo è l’unico modo per risolvere il conflitto nell’Est del Paese. In quel momento, tutto sembrava andare liscio, ma proprio allora in Ucraina sono cominciate delle fibrillazioni politiche.

I nazionalisti e la destra anche import

I nazionalisti, i gruppi di destra e i seguaci di Poroshenko si sono subito messi di traverso e hanno cominciato una dura opposizione a Zelensky. Così il Presidente ucraino ha dovuto congelare l’idea, per poi cominciare a fare progressivamente marcia indietro. Per tutto il 2020 la “Formula Steimeier” è rimasta sul tavolo della diplomazia, come l’unica possibile (e seria) soluzione accettata da tutti. Ma anziché migliorare, il clima politico internazionale è peggiorato.

A partire da all’inizio del 2021, Zelensky, sempre disposto ufficialmente a trattare, ha però cambiato improvvisamente atteggiamento sulla “Formula Steinmeiet”. Forse qualcuno lo ha chiamato invitandolo a ignorarla? Ce lo dirà la storia.

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