Sanzioni, armi e ora anche i carri Abram contro. Ma a sorpresa scopriamo una Russia solida in beffa all’Occidente

C’è qualcosa di strano in tutta questa enfasi politica attorno a qualche decina di super carri armati occidentali usati che tra qualche mese inzieranno ad arrivare a Kiev. Oltre ai Leopard anche due decine di poderosi Abram Usa. Se gli ucraini impareranno ad usarli li avranno operativi forse verso l’estate. Ma la Campagna di primavera, certamente quella russa, è tra un mese.
Altre armi occidentali promesse a far paura alla Russia sotto sanzioni che dovrebbe essere ormai, se non alla fame, in grossi guai economici. Ma se vai a vedere muovendoti tra quasi segreti, Piero Orteca scopre che forse le sanzioni stanno facendo più male a noi che la decidiamo che a loro che le subiscono.

Confessioni

Dall’agenzia ANSA. «Pistorius (il neo ministro alla Diofesa tedesco) ha riferito che ci vorranno “almeno tre mesi” prima che i Leopard di Berlino arrivino in Ucraina. Mentre gli Abrams statunitensi dovranno essere addirittura prodotti ex novo, e anche qui “ci vorranno mesi”, secondo i funzionari Usa. L’addestramento delle forze ucraine sui carri armati americani “inizierà presto”, ha spiegato inoltre Biden, avvertendo però che sono tank molto complessi e “ci vorrà tempo”. Così, a Kiev tocca aspettare. Ma intanto, incassati i tank, il governo ucraino è ripartito subito con le richieste: “Adesso abbiamo bisogno anche di F16, F35, Eurofighter, Tornado e navi da guerra”, ha rilanciato il viceministro degli Esteri ucraino, Andrij Melnyk, ricevendo in questo caso il no secco di Scholz».

Intenzioni politiche, imbonitori e imbrogli

I numeri non mentono mai e seppelliscono le chiacchiere dei politici, facendogli fare la figura degli imbonitori. Se non peggio. I tempi sono più che maturi, per andare a vedere se le sanzioni economiche finora adottate contro la Russia, per la sua sciagurata invasione dell’Ucraina, siano state efficaci. Beh, diamo subito la risposta: no. Gli indicatori, i trend, gli outlook, le statistiche, i forecast, gli studi di settore, gli “occasional papers” e tutti i documenti sui quali è possibile arrampicarsi, dimostrano che l’Occidente non ne ha azzeccata una. O, meglio, ha elaborato una strategia di attacco finanziario che potrebbe funzionare guardando lontano.

Qualche danno e contrabbando planetario

Diverso il discorso per il blocco al trasferimento di tecnologie sofisticate e semilavorati ad alto valore aggiunto. Per quello le sanzioni hanno cominciato a dare risultati, ma non fino al punto di determinare il default del sistema. Le misure contro la Russia, studiate principalmente dai funzionari dell’Amministrazione Biden, fin dall’inizio hanno destato molte perplessità. Di per sé, lo strumento, come dimostra la storia, non ha mai funzionato pienamente. Anzi, è stato quasi sempre aggirato grazie a una sorta di mercato nero internazionale, un contrabbando “sovrano” in grande stile, attuato con sponde e triangolazioni tra gli Stati.

Effetto boomerang

Ma il motivo principale della cautela era il prevedibile effetto boomerang, cioè la ricaduta negativa sulle altre economie, prima di tutto europee, data la loro dipendenza dalle importazioni di energia russe. Dunque, attenzione: si sapeva che saremmo andati incontro a un gioco al massacro, ma si è scommesso (perdendo, finora) sul fatto che a essere irreparabilmente danneggiato per primo fosse Vladimir Putin. E invece è andata al contrario. America in crisi (Biden per un pelo non ha perso tutto il Congresso alle elezioni di Medio termine), Europa in ginocchio, perché a corto di energia, e Terzo mondo alla fame.

Squilibrio planetario e inflazione

Uno squilibrio planetario che ha portato a un processo di ‘deglobalizzazione’, alterando logiche (e prezzi) delle catene di approvvigionamento. I costi di questa deriva hanno contribuito all’instaurarsi di una fortissima e lunga inflazione, con la quale dovremo fare i conti ancora per molto tempo. Abbiamo messo sottosopra l’economia, insomma, in cambio di che cosa?

I numeri dell’economia russa

Lo dicono le cifre. A marzo scorso, dopo l’invasione dell’Ucraina, e sotto la spinta della reazione occidentale, il rublo era precipitato a 139 unità per dollaro, obbligando la Banca di Russia a intervenire per difendere il cambio. Raddoppiando i tassi, fino al 20%, l’Istituto centrale di emissione ha però frenato l’emorragia, ha bloccato sul nascere il processo inflattivo e ha mandato un segnale ai mercati. Specie quelli dei “non allineati”, i Paesi neutrali pronti a sostituire l’Europa come clienti del gas e del petrolio russi. Le sanzioni e la speculazione internazionale hanno così mandato alle stelle il costo dell’energia, cosa che i ‘professoroni’ della Casa Bianca non avevano calcolato.

Vendere di meno ma guadagnare di più

Paradossalmente, Putin vendeva di meno ma guadagnava di più. Questo gli ha dato le risorse per riportare il rublo in carreggiata, a dispetto delle sanzioni. E mentre nel Vecchio continente la maggior parte della popolazione doveva combattere con le bollette e con i prezzi esorbitanti dei supermercati, a Mosca il rublo batteva tutti i record raddoppiando in un paio di mesi il suo valore sul dollaro (fino a 52 unità). Adesso il cambio è risalito un pochino, fino a 75, ma solo perché la Banca centrale ha addirittura dimezzato i tassi d’interesse, riportandoli intorno al 10%. La cosa strabiliante (o irritante, dal nostro punto di vista) è che mentre noi siamo sull’orlo della recessione, anche per colpa delle sanzioni, a Mosca brindano perché sono riusciti a evitare la disoccupazione di massa.

Dati Economist per non essere sospettati

Il tasso attuale, come riportato dall’ultimo numero dell’Economist, si aggira intorno al 3,7%. Sembra di essere negli Stati Uniti e, comunque, va molto meglio a Putin che ad altri primi ministri europei, costretti a combattere con una disoccupazione che arriva al 12% della Spagna. E vogliamo parlare del tasso d’inflazione? Che all’11,9% (ultima rilevazione) risulta essere migliore di quello della Svezia, della Polonia, e della Repubblica Ceca. Ferma restando la crisi delle Repubbliche baltiche, a rischio di disordini sociali, perché, in tutte, la curva dell’aumento dei prezzi si è impennato oltre il 20%.

Prodotto interno lordo calato poco poco

Certo, il Prodotto interno lordo russo nel 2022 è calato, ma i conti non tornano. Le sanzioni avrebbero dovuto distruggere l’economia di Putin e portarlo al default, invece le hanno inferto solo una bottarella, facendo beccare tutti i gravosi danni collaterali ai Paesi obbligati a imporle. Così, guardando le statistiche, scopriamo che nel 2022 il Pil russo è diminuito soltanto del 2,3%. Niente. Specie se teniamo presente che quello italiano, nel solo anno della pandemia, il 2020, ha perso l’8,9%.

Uno degli indicatori di Mosca che colpisce maggiormente è quello del deficit di bilancio sul Pil: appena -1,1%. Un trend virtuoso, decisamente migliore di quello italiano, britannico, cinese o americano, tutti compresi tra il -5 e il -6 %. Insomma, sanzioni inutili? No, ma efficaci, probabilmente, solo nel medio-lungo periodo, quando, come diceva Keynes, ‘saremo tutti morti’.

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AVEVAMO DETTO

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