
Il generale ucciso primo a sinistra con i vertici dello Stato iraniano
Israele attacca l’Iran in Siria, gli ayatollah reagiscono (per ora solo a parole), ma la cosa più grave è che il comando supremo di Hezbollah, in Libano, afferma che Netanyahu ha varcato la ‘linea rossa’. E ciò potrebbe voler dire, che siamo più vicini a una guerra generale sul fronte nord. L’aviazione di Tel Aviv ha colpito in maniera spettacolare, eliminando, con un classico ‘omicidio mirato’, nientemeno che il generale che curava i collegamenti tra le forze armate degli ayatollah e l’esercito di Assad.
Ieri, con un bombardamento chirurgico effettuato nei pressi di Damasco, è stato ucciso Sayyed Razi Mousavi, comandante delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. Fatta in questo momento, un’operazione abbastanza rischiosa, per le possibili ricadute geopolitiche in un’area già ad alta ‘infiammabilità’. Mousavi era stato per lungo tempo una specie di braccio destro di Qassam Soleimani, il mitico capo delle Brigate Al Quds, ucciso da un drone americano in Iraq. Ora, questa nuova uccisione segna una pericolosa escalation, che potrebbe spingere all’azione gli elementi più oltranzisti del regime teocratico persiano.
Qualcuno potrebbe anche leggerla come una risposta congiunta, israelo-statunitense, alle fastidiose attività, in tutta la regione, condotte dal cosiddetto ‘asse di resistenza’, cioè dalle milizie sciite a sponsorizzazione iraniana. Un arcipelago vastissimo, che va dagli Houthi dello Yemen, ai gruppi irakeni, a quelli che operano nell’ampio bacino siriano. Fino al Golan, dietro il quale sono arroccati i potenti Hezbollah. Gli unici veramente temuti da Israele. Adesso, bisognerà vedere come sarà recepito a Teheran il messaggio. E dalle prime reazioni, non sembra che ci si possa aspettare niente di buono.
Il Presidente, Ebrhaim Raisi, è sceso personalmente in campo, quasi a sottolineare il pesante valore simbolico determinato dall’uccisione di Mousavi. «Questo atto è un segno della frustrazione e della debolezza del regime sionista nella regione – ha detto – di cui pagherà sicuramente il prezzo». L’ambasciatore iraniano in Siria, Hossein Akbari, ha invece inserito nella sua dura risposta all’accaduto un elemento che, dal punto di vista del diritto internazionale, complica ulteriormente le cose. Mousawi era un diplomatico, assegnato all’ambasciata di Damasco. E come tale godeva di uno status particolare, che evidentemente non è stato rispettato, né dagli israeliani e nemmeno da chi li ha, eventualmente, aiutati.
Ma colpire in questo momento un generale iraniano, può anche essere un vero e proprio boomerang in termini strategici. Con lo Stretto di Bab-el-Mandeb già in sofferenza, per colpa degli attacchi Houthi, mettere anche quello di Hormuz nel mirino di possibili ritorsioni belliche è da dilettanti allo sbaraglio. O da cinici, insensibili a qualsiasi ripercussione negativa abbiano le nostre azioni per il resto dell’umanità. Non si è capito bene se Biden, nella sua visione complessiva degli equilibri planetari, si stia rendendo conto dell’impatto devastante della sua politica estera, sempre più zigzagante e persa nei meandri di visioni ‘suprematistiche’ dell’Occidente.
E così, mentre l’Iran sfrutta la crisi di Gaza, per riaprire i suoi canali diplomatici con tutto il mondo arabo sunnita, gli Usa si appiattiscono senza alcun senso logico sulle posizioni di Netanyahu. Diventando complici morali di un’operazione israeliana di ‘autodifesa’, trasformatasi in una truculenta vendetta.