Teheran, il Ministro dell’Industria cacciato, ed è tutto il potere che scricchiola

Se nell’Iran degli Ayatollah, un importante ministro viene cacciato con un voto del Parlamento, il segnale da interpretare è decisamente forte. Ci dice che il potere non è più monolitico, e che, probabilmente, dietro una facciata di apparente unità, si agitano diverse fazioni che si danno battaglia.
E se alle battaglie per i diritti civili solo sopite sotto i colpi una dura repressione, si aggiungono le rivolte del vivere, allora il regime rischia.

‘Impeachement’ all’americana

Il Majilis, il Parlamento di Teheran ha votato l’impeachment contro il Ministro dell’Industria, Reza Fatemi Amin. Il politico l’aveva già fatta franca lo scorso novembre, evitando una prima mozione di sfiducia individuale. Ma adesso i tempi erano maturi per un suo…. sacrificio, perché sostanzialmente di questo si è trattato. L’algoritmo della catastrofe economica iraniana funziona così: l’accordo sul nucleare non arriva (e non arriverà); le sanzioni economiche restano (e forse saranno ampliate); l’import di beni durevoli è stato ridotto al lumicino; l’import di semilavorati ad alta tecnologia è quasi scomparso; molti prodotti devono essere sostituiti, autarchicamente. Quest’ultima espressione significa che devono essere fabbricati in Iran. Con la tecnologia a disposizione. È chiaro che questi prodotti ‘semiartigianali’, finiscono per essere di qualità scadente e arrivano a costare anche più di quelli che erano una volta importati.

Autarchia in tempi di globalizzazione

L’esempio emblematico è quello delle auto. Ma, dicono gli analisti, il discorso si potrebbe allargare a molti altri settori dell’industria. Una riflessione più onesta, fa capire immediatamente che le colpe non sono certo attribuibili al Ministero dell’Industria, ma sono di tipo geopolitico e stanno più a monte. Già l’anno scorso, la Guida suprema, Alì Khamenei, aveva criticato i prezzi alti e la qualità bassa dei prodotti industriali persiani, ed era stata il promo segnale forte. Mentre, fino all’altro giorno, il Presidente Ebrahim Raisi, aveva difeso a spada tratta il Ministro, poi licenziato dal Parlamento. Chiamato in causa, durante il dibattito, il responsabile dell’Industria ha dichiarato che la fissazione dei prezzi nel suo settore «ha risentito degli alti e dei bassi determinati dalle sanzioni». Chiaro il tentativo di spostare il dibattito sui problemi dell’economia a un livello superiore, che tocca la diplomazia e la politica estera dello Stato.

Nei meandri segreti del potere in Iran

Dunque, cosa accade dentro i Palazzi del potere di Teheran, Qom, Tabriz e all’interno del variegato gruppo dirigente teocratico sciita? Probabilmente, la velocità dei cambiamenti epocali, nel panorama diplomatico internazionale, richiede un cambio di strategia o, quantomeno, un ‘rimpasto’, che ancora non ci sono stati. The Economist, dedicando un lungo report alla situazione interna dell’Iran, ha sottolineato come una politica di apertura commerciale sia indispensabile per uscire da una crisi finanziaria senza sbocchi. Se ci si arrocca solo su scelte ultranazionalistiche, senza piani di riserva, prima o dopo si pagherà pegno.

Costo popolare troppo alto

Nell’ultimo anno, l’inflazione è aumentata del 50%, mentre la moneta nazionale, il rial, è arrivata a toccare, l’astronomico cambio di 580 mila contro un dollaro. La valuta degli ayatollah, in 10 anni, si è deprezzata del 94%. Né migliori sembrano le prospettive in campo energetico. Nel 2017, Teheran esportava 4 milioni di barili di petrolio al giorno, mentre oggi arriva appena a piazzarne 2 milioni e mezzo. E se nel 2022 i prezzi si sono mantenuti alti, quest’anno i guadagni dovranno essere rivisti al ribasso. La guerra in Ucraina, poi, ha ulteriormente complicato lo scenario, perché Teheran fa da ‘sponda’ a Putin, per aiutarlo a scavalcare le sue sanzioni e contemporaneamente flirta con la Cina.

L’accordo sul nucleare stracciato da Trump

Questi nuovi rapporti di forza hanno una ricaduta immediata, sui colloqui riguardanti il programma nucleare iraniano. Gli ayatollah non sembrano più molto ansiosi di firmare il nuovo Joint Comprehensive Plan Of Action (JCPOA), che è stato strappato da Donald Trump e che Biden aveva cercato di resuscitare. Questo atteggiamento si è rafforzato dopo la vittoria elettorale di Raisi, che in pratica ha portato a un irrigidimento di molte delle posizioni diplomatiche assunte dall’Iran.

Adesso, si tratterà di vedere se le grandi manovre per la successione alla ‘Guida Suprema’ Alì Khamenei, la strategia per divincolarsi dalla stretta delle sanzioni economiche e le scelte nazionali sugli scenari geopolitici ai quali ispirarsi, non determineranno furiose lotte di potere. Soprattutto all’interno di quei circoli che già occupano le poltrone più importanti.

Tags: Iran sanzioni
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