
Belfast, sfilata di ‘Orangisti’ per l’unione con Londra
Apertura ufficiale di un conflitto non solo giudiziario. Il vicepremier irlandese Micheál Martin ha annunciato del ricorso alla corte europea per i diritti dell’uomo «dopo molte riflessioni e attente considerazioni». Azione dura in risposwta a Londra sorda, e anche prepotente. Martin si è detto rammaricato d’essere stato costretto a prendere la decisione, ma ha accusato il governo britannico di rinnegare i precedenti accordi bilaterali, scegliendo «un approccio unilaterale che viola la Convenzione europea sui diritti dell’uomo».
L’ultima denuncia dell’Irlanda contro il Regno Unito alla Corte di Strasburgo risale al 1971, anno in cui i soldati britannici e la polizia nordirlandese furono accusati di aver torturato alcuni sospetti militanti dell’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA). In quel caso la Corte stabilì che le forze di sicurezza britanniche erano colpevoli di «trattamenti degradanti e inumani», ma non di tortura. Un distinguo abbastanza difficile da cogliere, più politico che giuridico.
Il «Northern Ireland Troubles (Legacy and Reconciliation) Act», approvato da Londra a settembre, è stato espressamente redatto dal governo conservatore per proteggere gli ex soldati britannici da future accuse o azioni legali. La legge specifica che, a partire dal maggio del 2024, non potranno essere aperte nuove indagini penali, inchieste o cause civili legate al trentennale conflitto nordirlandese. Gli autori dell’eventuale reato, in cambio dell’immunità legale, saranno invece invitati a testimoniare davanti ad una commissione d’inchiesta ad hoc.
Fu inventata una ‘Commissione indipendente per la riconciliazione e il recupero delle informazioni’ (Icrir), ma la trovata fu respinta da quasi tutti i partiti politici dell’Irlanda del Nord oltre che da quelli irlandesi. Entrambi i partiti nazionalisti irlandesi a nord del confine, il Sinn Féin e il Partito socialdemocratico e laburista, in particolare, chiedevano da mesi a Dublino di portare la Gran Bretagna in tribunale nel tentativo di bloccare la nuova legge. E finalmente è accaduto, anche sulla scia di rinnovare tensioni con episodi di violenza che solo l’azione decisa di governo potrebbe fermare.
Dublino sostiene che la legge britannica è incompatibile con gli obblighi che il Regno Unito ha preso nei confronti della Convenzione non l’Irlanda, e che il Legacy Act infrange inoltre il precedente impegno della Gran Bretagna del 2014, contenuto nell’accordo di Stormont House firmato con Dublino, di mantenere aperte tutte le vie giudiziarie per le vittime delle violenze commesse prima dell’accordo di pace del Venerdì Santo del 1998. Una violazione alla luce del sole, molto simile ad un atto di arroganza da parte di un governo che sta perdendo pezzi un po’ ovunq1ue.
I casi legati ad alcuni dei peggiori atti di violenza del conflitto, il famoso e tragico ‘Bloody Sunday’ di Derry del 30 gennaio 1972 continuano a segnare la vita legale nell’Irlanda del Nord. Da quella domenica di sangue ad oggi. La scorsa settimana, i pubblici ministeri dell’Irlanda del Nord hanno annunciato che un ex paracadutista britannico, identificato solo come ‘Soldato F’, sarà processato per omicidio per il suo ruolo nell’uccisione di 13 manifestanti irlandesi disarmati da parte dell’esercito britannico durante il ‘Bloody Sunday’ di Derry.
Quella domenica migliaia di persone, civili, donne e bambini, si radunarono nella città nordirlandese di Derry per una manifestazione organizzata dalla ‘Northern Ireland Civil Rights Association’ contro una nuova legge che conferiva alle autorità il potere di incarcerare le persone senza processo. Il governo britannico vietò la protesta e schierò l’esercito per impedirne lo svolgimento ma senza risultati. Di fronte alla resistenza dei manifestanti un reggimento di paracadutisti aprì il fuoco sulla folla uccidendo 13 persone e ferendone altre 15.
Contemporaneamente all’auto amnistia di improbabile successo, guai anche sul fronte del governo dell’Irlanda del Nord. Al Partito unionista democratico (il Dup filo inglese che sostiene il governo conservatore del dopo Boris Johnson) non bastano i 3,3 miliardi di sterline che il governo del Regno Unito ha messo sul tavolo per il ripristino del power sharing (condivisione del potere) tra i partiti dell’Ulster come sancito dagli Accordi del Venerdì Santo. Londra ritiene le trattative chiuse. Mentre per il partito repubblicano e socialista Sinn Féin ‘è deplorevole’ che il Dup tenga in ostaggio le istituzioni dall’inizio del 2022. Le altre compagini politiche nordirlandesi erano pronte all’accordo.
Non solo soldi, ma geopolitica. Il Dup vuole ridefinire i termini del ‘Windsor Framework’ che governa i rapporti commerciali a cavallo del Mare d’Irlanda dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea nel 2020. Regole che prevedono controlli doganali per le merci dirette in Irlanda del Nord dal resto del Regno, ma permettono la libera circolazione tra l’Ulster e la Repubblica d’Irlanda (Éire), paese Ue. La salvaguardia di un confine terrestre aperto è un pilastro fondamentale per il processo di pace sull’isola, ma per il Dup, la versione Brexit firmata da Boris Johnson, è inaccettabile. Sudditanza alla Corona e appartenenza al Regno Unito sono la loro ragion d’essere.
Londra d’inciampo in inciampo. Uno stallo lungo ventidue mesi, e l’ulteriore deterioramento dei rapporti bilaterali tra Londra e Dublino da cui siamo partiti. Ed è di mercoledì 20 l’annuncio di Leo Varadkar, il Taoiseach (primo ministro) d’Irlanda, della disputa legale aperta alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che non fa certo onore al sempre più lacerato Regno Unito.