Con 600 militari assegnati alla missione NATO, la Turchia è il secondo tra i 27 Paesi che formano la forza KFOR, attualmente con circa 4.500 effettivi con i rinforzi dagli scontri del 24 settembre nel nord tra le forze di sicurezza di Pristina e manifestanti serbi. Nel suo intervento di congedo, il generale Ristuccia ha ripetuto che «Solo un accordo politico raggiunto attraverso il dialogo potrà garantire una pace duratura». Ma non sembra essere questa la vocazione politica tra l’attuale governo albanese e quello di Belgrado rispetto alla minoritaria presenza serba.
«Coordinamento con la polizia kosovara e la missione europea Eulex», recita l’ammiraglio americano Stuart B. Munsch, comandante della NATO in Europa. Poi l’immancabile Stoltenberg che invita Belgrado e Pristina «ad astenersi da azioni che possano acuire la tensione e si impegnino nel dialogo facilitato dall’UE». Dalle orazioni ai fatti. Massima tensione, e il rafforzamento obbligato della presenza delle truppe NATO in Kosovo lungo la linea di frontiera con la Serbia, con militari aggiuntivi giunti da Gran Bretagna, Turchia e Romania.
Il generale turco assume il comando di KFOR in un momento decisamente difficile. Pochi giorni fa il ministro del Commercio serbo, Momirovic a Bruxelles ha definito inaccettabile che l’Unione Europea tolleri il divieto di commercio imposto dal Kosovo sulle merci prodotte nella Serbia centrale. «Abbiamo chiesto che il divieto venga immediatamente revocato», ha denunc iato il ministro, in attesa di un qualche intervento Ue formalmente dovuto ma sempre molto/troppo meditato.
L’8 ottobre il presidente serbo Vucic aveva reagito alle affermazioni del ministro dell’Interno kosovaro Svecla, che sosteneva un coinvolgimento del figlio maggiore di Vucic, negli scontri con sparatoria e morti del 24 settembre a Banjska. «L’unico terrorista in Kosovo è Albin Kurti, che uccide e terrorizza il popolo serbo», la risposta di Vucic. Nella diatriba è intervenuta anche Tirana. «La Serbia ha una grande responsabilità per l’attacco a Banjska» ha detto il premier albanese Edi Rama.
Il 23 aprile le elezioni locali nel nord del Kosovo furono boicottate dalla popolazione serba per protesta contro la politica del governo di Pristina. Cosa che portò all’elezione di sindaci albanesi con una manciata di voti, nei maggiori Comuni serbi del nord. Sindaci insediati a forza dal governo centrale, con manifestazioni di protesta da parte dei serbi andate avanti per settimane e costellate da incidenti, scontri e violenze. Ora Vucic ha fatto appello ai serbi del Kosovo invitandoli a organizzare nuove elezioni locali.
Escalation delle tensioni e la decisione della NATO di affidare per la prima volta il comando di KOR alla Turchia, nazione solidamente alleata di Albania e Kosovo. Preoccupazioni politiche e sospetti. Le Forze di Sicurezza Kosovare addestrate dalle forze armate turche. E fatto concreto, la fornitura nel maggio scorso di 5 droni armati Baykar Bayraktar TB2, primo embrione di capacità aeree da attacco del Kosovo, che ufficialmente non ha forze militari ma solo di sicurezza.
Droni consegnati dopo la firma del ministro della Difesa kosovaro Armend Mehaj, ha riportato il 19 maggio il portale KlanKosova ripreso dall’agenzia di stampa turca Anadolu.
Le forze di sicurezza del Kosovo hanno ricevuto i droni alla vigilia della grande esercitazione Defender Europe 2023 guidata dagli Stati Uniti, con 1.300 militari kosovari al fianco di 17 mila della NATO provenienti da Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Moldova, Montenegro, Paesi Bassi, Macedonia del Nord, Polonia, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito.
Esercitazione di 15 giorni tra maggio e giugno nei dintorni dell’aeroporto di Gjakova, nel Kosovo riconosciuto da meno della metà dei Paesi Onu, ma candidato -semprerebbe-, all’ammissione Nato.
«Arduo ritenere che un crescente ruolo militare di Ankara, pur se in ambito NATO, in un’area che vede da anni una forte di penetrazione politica ed economica turca, possa favorire la distensione nel Balcani», l’osservazione critica di Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa.
Che spinge qualcuno a chiedersi quali nazioni dell’alleanza abbiano premuto a favore del comando turco di KFOR e se l’Italia e altri stati membri abbiano contrastato o meno questo disegno che minaccia di favorire la destabilizzazione nella regione invece di scongiurarla.