La rivincita di Cassandra e dei ‘non filoputiniani’ diffamati

Per il Corriere della Sera, quasi una confessione. «Nelle ultime settimane, analisti e commentatori americani e europei hanno fotografato l’andamento della guerra in Ucraina giungendo a conclusioni concordanti con le previsioni, avanzate già all’inizio del conflitto, di poche (e inascoltate) Cassandre, talvolta liquidate con il sospetto di filoputinismo». Massimo Nava, insospettabile, è netto: «In sintesi, l’Ucraina sta perdendo la guerra, nonostante la coraggiosa resistenza, gli aiuti finanziari, armamenti occidentali ed enormi perdite civili e militari».

Col monito storico di Henry Kissinger, «È pericoloso essere nemici degli Usa, ma essere amici può essere fatale»

Se la guerra Nato era alla Russia

L’Ucraina sta perdendo la guerra, nonostante la coraggiosa resistenza, gli aiuti finanziari, armamenti occidentali e enormi perdite civili e militari. La sconfitta si prefigura per la tragica combinazione di diversi fattori. In primo luogo, il fatto che non si sia verificato il tanto auspicato scollamento del regime russo sotto il peso delle sanzioni e dell’iniziale maldestra gestione dell’invasione che aveva innescato dissensi nelle alte sfere fino alla clamorosa rivolta del gruppo Wagner. Al contrario, la Russia ha riorganizzato la macchina bellica, ha aggirato le sanzioni costruendo nuove alleanze anti occidentali (dalla Cina al Brasile, in generale nel Sud globale) e ha stretto i bulloni della repressione interna preparando il terreno alla rielezione del presidente Putin.

La crisi del Fronte occidentale

In secondo luogo, si sta verificando lo scollamento del fronte occidentale, sia nelle opinioni pubbliche sempre meno solidali con Kiev, sia nei governi Usa ed europei più tiepidi e indecisi nell’ elargire aiuti e sostegno militare senza il quale è inimmaginabile un rovesciamento dei rapporti di forza. In terzo luogo, stanno emergendo crepe all’interno della classe dirigente ucraina, anche in vista di polemiche elettorali che imputano al presidente Zelensky una gestione irrealistica del conflitto, giocata sulle ragioni morali e sul sostegno incondizionato dell’Occidente.

La guerra solitaria di Zelensky

L’americano Time, in proposito, ha parlato di ‘guerra solitaria’ di Zelensky. E il capo delle forze armate, Valery Zaluznyj, in un’intervista a The Economist, ammetteva la fase di stallo della guerra e il fallimento dell’offensiva di primavera per la riconquista dei territori perduti. Il Wall Street Journal ha messo in evidenza le carenze organizzative dell’esercito ucraino. A questo proposito, il presidente Zelensky ha rinnovato appelli per la consegna degli F16, secondo l’assunto logico che senza aviazione le guerre si perdono.

Stoltenberg verso l’atteso addio

«Dobbiamo essere preparati anche alle cattive notizie» ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg alla tv tedesca Ard. «Dobbiamo essere preparati per il lungo periodo». Secondo fonti americane, peraltro smentite, sarebbero in corso trattative per raggiungere un compromesso, al di là di considerazioni morali sulle violazioni del diritto internazionale, sui crimini di guerra russi e sull’integrità territoriale dell’Ucraina. Un compromesso che porterebbe al cessate il fuoco e a una rinuncia parziale ma indefinita nel tempo dei territori controllati dalla Russia.

Compromessi della storia

Da parte sua, l’Ucraina otterrebbe un’accelerazione del processo d’integrazione nella Ue e, sul lungo periodo, nella Nato. Ma l’accordo non suonerebbe come una sconfitta.  Come ha scritto il politologo Samuel Charap su Foreign Affairs, «un’Ucraina divisa, ma prospera e democratica, con un forte impegno occidentale per la sua sicurezza, rappresenterebbe una vera vittoria strategica».

Del resto, quante guerre scoppiate per territori contesi, sono finite in questo modo, anche se il prezzo può essere altissimo? Pensiamo alle due Coree, al muro di Cipro, alla divisione della Germania, ad ovest nella Nato, ad est nella sfera russa.

Alternativa, ‘guerra stagnante’

L’alternativa, è appunto, un conflitto stagnante e di lungo periodo, altrettanto costoso in termini di distruzioni e vite umane, che a conti fatti tornerebbe ancora a vantaggio della Russia che, essendo un regime, può permettersi di perdere ancora molti soldati al fronte senza fare i conti con l’opinione pubblica.

Nato prigioniera in Ucraina

Come ha scritto su Foreign Affairs Bob Seely (parlamentare britannico ed esperto di affari militari), per la Russia, l’obiettivo dei conflitti non è sempre quello di sconfiggere un esercito nemico. «Può anche essere quello di dare alla Russia più potere sui suoi vicini o di indebolire gli Stati o le alleanze a cui si oppone, come la NATO. Nel caso di questo conflitto, Putin sta cercando non solo di soffocare l’indipendenza dell’Ucraina ma anche di indebolire la NATO in una lotta generazionale per salvare la Russia. Il conflitto è in corso da quasi 20 anni».

Realismo kissingeriano

A questo proposito, vale la pena di riflettere sulle considerazioni che l’ex ministro degli esteri francese, Hubert Vedrine, ha fatto dopo la morte di Henry Kissinger, con un invito a rivalutare la visione realistica dello statista.

«Kissinger non ha brandito il vangelo missionario dei nostri valori universali, ma questo non significa che non fosse pronto a usare qualsiasi mezzo per mantenere la leadership occidentale. Il suo pensiero è ancora attuale, anzi insostituibile, se vogliamo un nuovo realismo di cui abbiamo disperatamente bisogno in un’epoca di individualismo atomizzante, di sfida alla democrazia rappresentativa, di onnipotenza delle opinioni mutevoli, a loro volta sfruttate da minoranze radicalizzate, che rendono le democrazie quasi incapaci di avere una politica estera continua». 

‘Noi, Stati Uniti’

«Kissinger si è rammaricato in diverse occasioni in seguito del fatto che noi (‘noi’ Stati Uniti) non abbiamo fatto alcuno sforzo per integrare la Russia in un quadro di sicurezza in Europa. Non per amore del regime russo, ma per la sicurezza del mondo. Sono convinto che il Maïdan, la Crimea e la successiva spirale avrebbero potuto essere evitati, una convinzione che era anche di Brzezinski all’epoca (a proposito di neutralità dell’Ucraina)». E vale la pena, osservando le diatribe americane sulla concessione o meno di nuovi finanziamenti all’Ucraina, di ricordare ancora Kissinger quando disse…

«È pericoloso essere nemici degli Usa, ma essere amici può essere fatale»

Lo disse a proposito del Vietnam del Sud abbandonato al suo destino dopo essere stato armato e sostenuto nella guerra contro il nord comunista. Ma la storia si è ripetuta in Irak e Afghanistan. È forse è questo anche il destino dell’Ucraina.

 

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