«L’attore che ha governato l’Ucraina in tv sarà capace di farlo anche nella vita vera?». Titolo dell’ultraliberal New Yorker nell’Aprile 2019, dopo travolgente vittoria con cui Volodymyr Zelens’kyj aveva spazzato via il presidente in carica Petro Porošenko. La prima risposta degli ucraini fu No, «almeno non più dei presidenti che lo avevano preceduto». Ora è spesso descritto come leader che offre il meglio di sé nel conflitto. Vero ma forse esagerato. In questo è senza dubbio il miglior presidente che l’Ucraina indipendente abbia mai avuto.
Zelens’kyj, o Zelensky, se preferite, viene eletto alla presidenza il 21 aprile 2019 con il 73% delle preferenze. Tre mesi dopo, elezioni politiche anticipate, seconda valanga e maggioiranza parlamentare assoluta. «A settembre i sondaggi dicono che il 52% dei cittadini dell’Ucraina, in lizza con la Moldova per il titolo di paese più povero d’Europa, è ottimista per le sorti della nazione, contro un flebile 18% di pessimisti».
Nel marzo 2020 gli ottimisti sono scesi al 23%, pessimisti il 60%. A luglio il 51% non ha più fiducia in Zelens’kyj. Alle amministrative di ottobre e novembre 2020, il partito ‘Servo del popolo’ viene duramente sconfitto. Settembre 2021, il Kyiv International Institute of Sociology registra che l’approvazione per l’azione di Zelens’kyj si è ridotta al 33,3%. Un mese dopo il 71% degli ucraini pensa che il paese stia andando nella direzione sbagliata, con molti a chiedere elezioni presidenziali e/o politiche anticipate.
Secondo il Razumkov Center di Kiev, in caso di presidenziali anticipate Zelens’kyj raccoglierebbe il 18,7% di voti. Supererebbe ancora il rivale Porošenko, ma se si chiede ai potenziali elettori per chi in ogni caso non voterebbero, Zelens’kyj passa in testa con il 31,9% contro il 31,6% di Porošenko. Dati politicamente certi alla vigilia dell’invasione russa del 24 febbraio 2022. E anche nell’ipotesi di un conflitto armato più ampio di quello in corso nel Donbas dal 2014, gli ucraini continuano a dubitare fortemente che Zelens’kyj.
Come si concilia quel disastro con il trionfo attuale, con i sondaggi che danno a Zelens’kyj un’approvazione del 91%?
La guerra nel Donbas, a dispetto delle intenzioni elettorali e dopo qualche promettente segnale (scambi di prigionieri, una tregua, per Kiev restava un incubo geopolitico e un buco nero finanziario: nel 2021 la difesa assorbiva il 4,2% del pil in un Paese estremamente povero. All’interno un durissimo braccio di ferro con gli oligarchi, segnato da minacce di golpe e attentati.
Non ultimo problema, un’Ucraina bisognosa dell’aiuto statunitense e internazionale che si trova nel mezzo nel scontro tra Donald Trump e Joe Biden. «Con gli scandali veri e presunti del figlio di quest’ultimo, Hunter, per anni a libro paga di un’azienda ucraina gestita da russi. Ma erano davvero queste le ragioni primarie del crollo del consenso di Zelens’kyj?»
Il 3 ottobre 2021, rivelazione dei Pandora Papers: Zelens’kyj aveva costituito una serie di società offshore nelle Isole Vergini britanniche, a Cipro e nel Belize per proteggere i cospicui guadagni della fortunata carriera di attore e produttore televisivo e cinematografico. Ad aiutarlo diversi personaggi che dopo il suo arrivo alla presidenza avevano ricevuto importanti incarichi istituzionali, come Ivan Bakanov (capo dei servizi segreti ucraini) e Serhij Šefir (primo consigliere presidenziale).
. Dmytro Razumkov era un ragazzo prodigio della politica ucraina: figlio di un’attrice (Natalia Kudri) e di Oleksandr Razumkov (ex vicesegretario del Consiglio di sicurezza ucraino), aveva collezionato lauree e master cimentandosi con il Partito delle regioni di Janukovyč. Poi si era dato agli affari, infine era tornato sulla scena pubblica come consigliere politico della campagna di Zelens’kyj, che una volta eletto l’aveva nominato segretario di Servo del popolo.
Poi tutto precipita. Il 3 ottobre 2021 Zelens’kyj dichiara che Razumkov «non è più parte della nostra squadra». Il 7 ottobre toglie a Razumkov la presidenza del parlamento. Il 15 ottobre revoca la sua nomina al Consiglio di sicurezza. E Scaglione deve osservare che «Nei momenti di crisi Zelens’kyj butta a mare qualcuno». Come nel 2020, quando subodorando il calo del gradimento aveva liquidato il giovane premier Oleksij Hončaruk e cinque ministri di uno dei governi più giovani della storia (37 anni in media, «il governo turbo»).
«Già si profilava la tendenza a chiamare ‘traditore’ chi obiettava: una delle colpe di Hončaruk, che poi insegnerà a Stanford con fama di grande riformatore, era dire che Zelens’kyj non ha chiari certi princìpi dell’economia». Un paio di mesi dopo Zelens’kyj se ne esce con la notizia di un tentato golpe organizzato ovviamente dai russi, forse finanziato dall’oligarca Rinat Akhmetov, sventato appena in tempo. Altri elementi non ci sono, bisogna fidarsi della parola presidenziale.
«L’invasione russa ha cambiato moltissime cose. Anche Volodymyr Zelens’kyj. Il finto uomo nuovo, che non sapeva o non poteva governare il paese della crisi economica e della mezza guerra nel Donbas, si è rivelato bravissimo nel governare l’Ucraina dello sprofondo economico (crollo del pil del 45% e povertà al 20% nel 2022 secondo la Banca mondiale) e della guerra aperta con la Russia».
Merito certo, non aver lasciato Kiev nei primi giorni dell’invasione, quando mezzo mondo avrebbe accolto un suo governo in esilio 15. «Una campagna di comunicazione straordinaria con cui ha dato un leader, anzi finalmente un capo, al popolo ucraino rovesciando la propria immagine: l’eroe per caso, chiamato dalla sorte e non dall’ambizione a lavorare per il bene contro il male, diventa l’eroe che sceglie in coscienza il proprio drammatico destino».
Zelens’kyj ha anche capito che un numero consistente di paesi, dagli Usa al Regno Unito passando per la Polonia, i baltici e le nazioni del Nord Europa, avrebbe fatto carte false per castigare Vladimir Putin e cambiare gli equilibri di un’Europa a lungo dominata dall’asse franco-tedesco.
«In sostanza, il patto è stato: difendete l’Ucraina per cambiare l’assetto europeo. Boris Johnson per la difesa 19, la Polonia per diventare hub energetico del continente 20, i nordici per rimettere in riga il Sud, tutti per ridimensionare la Germania. Zelens’kyj ha così ottenuto cospicui aiuti militari e ha impegnato il G7 a sostenere l’Ucraina. Adesso e chissà per quanto ancora».
Si discute con insistenza di un «Piano Marshall per l’Ucraina», la quale secondo la Banca mondiale ha subìto danni per 350 miliardi di dollari e ne ha già ricevuti 37 dal solo G7. «Anche prima dell’invasione russa l’economia ucraina era tenuta in piedi dagli aiuti esteri, ma ora si parla di una cambiale in bianco e senza scadenza».
La forza degli ucraini e il loro sacrificio, insieme a quattrini, armi e intelligence dell’Occidente, e gli errori e i limiti della Russia, garantiscono che esisterà uno Stato ucraino. E avrà come presidente Zelens’kyj. In Ucraina il mandato presidenziale è di cinque anni; le prossime elezioni dovrebbero svolgersi nel 2024. Nessuno crede che la guerra possa prolungarsi fino ad allora, ma al centro della scena ci sarà ancora Zelens’kyj, il presidente di guerra che ha guidato il paese in battaglia.
«Il presidente della guerra non vuole tornare a essere anatra zoppa. La strategia è sempre la stessa: denunciare complotti e tradimenti, scaricare su altri la colpa di eventuali insuccessi e chiudere ogni spazio alle alternative». E nell’anno che sta esaurendosi, molto meno peggio del previsto in guerra, si è esercitato in politica di casa.
A luglio parte la purga: saltano tra gli altri Roman Dudin (capo dei servizi segreti della regione di Kharkiv), Ihor Sadokhin (capo del Centro antiterrorismo di Kherson), Oleh Kulinič (responsabile dei servizi di sicurezza per la Crimea controllata dai russi), i generali Andrej Naumov e Serhij Krivoručko (servizi di sicurezza), Iryna Venediktova (procuratrice generale) e Ivan Bakanov (direttore dei servizi segreti, l’Sbu), Con diverse sfumature, tutti accusati di tradimento. Zelens’kyj precisa che sono in corso 651 procedimenti penali per tradimento.
Nel gennaio scorso, prima dell’attacco russo, il Kyiv Independent titolava: «Il governo Zelens’kyj si appresta a smantellare la libertà di stampa in Ucraina». L’articolo era un riassunto dei tentativi del presidente e dei suoi fedelissimi di impedire alla stampa, indipendente o meno, di proporre ai lettori qualunque critica del loro operato. Nel gennaio 2021 era toccato alle tre televisioni filorusse dell’oligarca e politico d’opposizione Viktor Medvedčuk. Nel 2020 sotto tiro un’altra testata, Ukrainskaya Pravda.
«Con l’inizio della guerra, quella vera, i politici d’opposizione venivano definitivamente banditi e i media irregimentati. Le televisioni in particolare: approfittando della legge marziale, il 20 marzo Zelens’kyj emette un decreto che le unifica in un solo canale attivo 24 ore su 24 e posto sotto il controllo delle autorità». Peggio, la possibilità di affidare al Consiglio nazionale per le trasmissioni radiotelevisive il potere di bloccare i siti Internet e revocare le licenze a televisioni e giornali senza bisogno di una sentenza della magistratura, ma soltanto sulla base di denunce.
Proposta di legge Zelens’kyj che Harlem Désir, ex ministro francese per gli Affari europei e già rappresentante dell’Osce per la libertà dei media, aveva definito «clamorosa violazione della libertà di pensiero e di parola». La legge, vedrete, passerà. Zelens’kyj ha provato sulla sua pelle quanto possa costare a un presidente il lusso di una stampa libera e indipendente.