
La situazione letta da El País: «Fonti diplomatiche sostengono che Netanyahu vuole che i suoi alleati restino al suo fianco, anche se il numero delle vittime civili palestinesi è ormai insopportabile, come gli ha detto il primo ministro spagnolo Sanchez». Il più importante giornale iberico va giù pesante col premier che resisterà in carica fin che c’è guerra (col dopo a rischio galera), e accusa l’Unione Europea di una sorta di ‘vigliaccheria di rimbalzo’.
Quando il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha denunciato la tragedia umanitaria di Gaza, l’UE si è girata dall’altro lato, scrive El Pais. L’unica a difendere Guterres, dagli attacchi scomposti e schiumanti rabbia di Netanyahu, è stata la Spagna. Con il sostegno, aggiungiamo noi, di Portogallo, Irlanda e Lussemburgo. El Pais punta il suo indice accusatorio, invece, contro nazioni come Germania, Austria e Repubblica Ceca, che, evidentemente, in base alle loro convinzioni e/o convenienze, finora non hanno voluto sentir parlare di ‘cessate il fuoco’ a Gaza.
Ora, però, il vento comincia a girare, specie dalle parti di Washington e le folate arrivano fino a Bruxelles. Il Rappresentante della Commissione UE, Josep Borrell, parlando a Barcellona, ha ribadito più apertamente una posizione che, in precedenza, aveva fatto fatica ad affermarsi: quella della possibilità di un «cessate il fuoco definitivo», tra Israele e Hamas. Dopo i massacri dello Shabbat nero del 7 ottobre, infatti, è sembrato di cogliere all’interno dell’Unione forme di reazione diverse. Assoluta (e ovvia) condanna dell’attacco terroristico del gruppo islamico, ma contemporaneamente progressivi distinguo sulla reazione di Israele. E sul timore di un rovinoso coinvolgimento collaterale dei civili palestinesi di Gaza.
E queste due posizioni sono andate dilatandosi coinvolgendo la stessa burocrazia di Bruxelles e, cosa più importante, diversificando le risposte dei Paesi soci. Da subito, le dichiarazioni della Presidente Ursula Von der Leyen, o ‘Von der Nato’, come ormai molti la qualificano, e la sua successiva visita in Israele (dove si è incontrata con Netanyahu), hanno alimentato polemiche. In particolare, proprio Borrell si è ‘smarcato’ fin dall’inizio, cercando di sottolineare l’esigenza che «la risposta israeliana rispetti il diritto di guerra e quello umanitario».
La traiettoria ufficiale della Commissione di Bruxelles, tuttavia, è sembrata ripercorrere, passo dopo passo, il sentiero diplomatico tracciato dalla Casa Bianca. L’unica concessione fatta dalla Von der Leyen a chi perorava la causa dei civili palestinesi di Gaza, è stata quella di ribadire che gli aiuti finanziari dell’Europa sarebbero continuati. Perché, da indagini fatte da uno speciale organismo interno, era stato appurato che i fondi già stanziati non erano mai stati utilizzati da Hamas per scopi militari.
La netta sensazione è che la Von der Leyen abbia reagito sulla questione, da ‘tedesca’, assumendo una chiave di lettura degli avvenimenti che sembra più quella del Cancelliere Scholz che di un Presidente dell’Unione Europea. È noto che proprio i tedeschi sono stati i più categorici sostenitori delle ragioni di Israele di farsi giustizia, a tutti i costi. Una posizione che, nel Vecchio continente con meno colpe nel passato, ha trovato significative eccezioni. Sempre, ribadiamolo, ferma restando l’ovvia condanna per gli atti terroristici di Hamas.
Ha cominciato il francese Macron che, in tempi non sospetti, ha espresso la sua contrarietà alla politica del ‘laissez-faire’ per Gaza, concessa da Biden a Netanyahu. La posizione francese, ha portato quasi a uno scontro diplomatico frontale col governo di Tel Aviv. Battaglia a colpi di infuocati comunicati, che si è invece avuta col premier irlandese, Leo Varadkar, a proposito di una nota sulla liberazione di una bimba ostaggio di Hamas. Ma, scava scava, si scopre che i rapporti tra Dublino e Tel Aviv si erano già fatti tesi prima, quando gli irlandesi avevano duramente denunciato gli indiscriminati bombardamenti su Gaza e la morte di migliaia di civili palestinesi.
In particolare, Varadkar aveva dichiarato che l’offensiva israeliana «assomigliava qualcosa di più simile alla vendetta», mentre addirittura lo stesso Presidente della Repubblica irlandese, Michael D. Higgins, era intervenuto dicendo: «Annunciare in anticipo che si violerà il diritto internazionale e farlo su una popolazione innocente riduce a brandelli tutto il codice che esiste dalla Seconda guerra mondiale, sulla protezione dei civili». Queste esternazioni avevano fatto andare su tutte le furie Netanyahu. Anche perché si distaccavano dalla linea di assoluta ortodossia filo-Netanyahu della Von der Leyen, ferma alla prima interpretazione Usa.
Le arrabbiature di origine europea per il premier israeliano non erano finite a Dublino. A far saltare il banco diplomatico questa volta si sono messi in mezzo il Belgio e un altro peso massimo come la Spagna. Apriti cielo!
Se il ‘molto chiacchierato’ Primo Ministro dello Stato ebraico non cambia registro, finirà che Israele dovrà litigare con gli ambasciatori di mezzo pianeta. Anzi, no. Lo sta già facendo. Con grande pena elettorale di Biden che forse dovrà decidersi a fare qualche telefonata un po’ arrabbiata anche in Europa.