Per l’Arabia Saudita le minacce principali arrivano ‘di rimbalzo’ dallo Yemen. Gli imprevedibili attacchi dei ribelli sciiti Houthi sostenuti dagli ayatollah creano forti preoccupazioni. A rischio potrebbe esserci non solo la navigazione nel Mar Rosso, verso Suez, ma anche la sicurezza di centinaia di siti petroliferi sensibili dei sauditi. Ed ecco Putin arrivato a proposito. La Russia può convincere gli irascibili sciiti iraniani a moderare i bellicosi Houthi, evitando che a farlo, scaricando bombe e missili, sia un Joe Biden che ha mosso nel Golfo Persico una flotta con armi atomiche da fine del mondo. Rischio di un’ulteriore crisi, capace di mettere in ginocchio tutta la regione.
Così, mentre Arabia Saudita ed Emirati fanno gli equilibristi tra Russia e Occidente, Putin gioca la carta Iran. In questo momento è l’unico ad avere rapporti lineari con la teocrazia persiana. Motivi utilitaristici, come tutti. E il Cremlino ha precise richieste. A leggere la prima pagina del Teheran Times di ieri nel resoconto della la visita di Raisi a Mosca, sembra quasi che la causa palestinese sia stata il centro dei colloqui. Politicamente utile, ma non nei fatti. Oltre le accuse di Raisi, su «genocidio e crimine contro l’umanità a Gaza», con Putin che ha risposto con frasi altrettanto scontate di indignazione e solidarietà palestinese. Badando a non toccare i compromessi con Israele, a cominciare dalla Siria. Oltre al fatto che almeno 1 milione di cittadini israeliani è di origine russa.
Mosca, a ragione o torto, agli occhi dei popoli del Sud del mondo, come una specie di ‘difensore degli oppressi e dei colonizzati’. Medio Oriente e Golfo Persico come una tavola imbandita dove servirsi, sfruttando le enormi difficoltà della diplomazia americana. Senza esporsi più di tanto, la Russia sta massimizzando i profitti geopolitici delle varie crisi, che gli Stati Uniti non riescono a padroneggiare nella regione. Contemporaneamente, sfrutta ogni opportunità per aggirare le sanzioni dell’Occidente. Proprio in questo senso, vanno sottolineati gli accordi che hanno preceduto il meeting di Mosca.
Martedì scorso, i due Ministri degli Esteri, Sergei Lavrov e Hossein Amir Abdollahian, hanno firmato un accordo di cooperazione contro le sanzioni economiche statunitensi e occidentali già abbondantemente beffate. In precedenza, il vice Ministro della Difesa degli ayatollah, Mehdi Farahi, aveva annunciato l’acquisto a Mosca, di caccia da ‘superiorità aerea’ Sukhoi Su-35, di elicotteri da combattimento MI-28, e di aerei da addestramento Yak-130. Va sottolineato che i Su-35, possono competere con i migliori caccia occidentali e rappresentare una minaccia concreta per Israele. Ma sotto la vernice della geopolitica spunta sempre il business.
La Russia, nel 2022, era diventato il più grande investitore in Iran e, in soli 6 mesi di quest’anno, il commercio è aumentato del 45%. Inoltre, Gazprom ha firmato un contratto da 40 miliardi di dollari, per lo sviluppo dei giacimenti di gas e di petrolio iraniani. Insomma, quando Raisi è arrivato al Cremlino, la maggior parte del lavoro era già stato fatto.
Quindi da parte di Putin e Raisi un segnale forte. Assieme ad un avvertimento mediatico a tutti quelli che sono interessati a sbrogliare la matassa del Medio Oriente: «la Russia ‘c’è’, e chiunque cerchi di emarginarla dev’essere pronto a pagare un prezzo diplomatico salato».