
Qualcosa è andato storto nei rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita, la considerazione immediata. E la strategia di Joe Biden verso i sauditi, già criticata, è stata un buco nell’acqua, l’osservazione diffusa tra gli analisti sulle due sponde dell’Atlantico. Negli Stati Uniti ora si discute della “fist-bump diplomacy”, la “diplomazia del saluto col pugno”, facendo riferimento alla discussa visita in Arabia Saudita di Biden a luglio. Diplomazia fallita.
Con quella visita, Biden aveva interrotto l’isolamento internazionale dell’Arabia Saudita e di bin Salman promesso dallo stesso presidente come ritorsione per l’uccisione del giornalista del Washington Post e dissidente saudita Jamal Khashoggi, commissionata proprio dal principe ereditario, secondo la CIA e altre ricostruzioni. In campagna elettorale Biden aveva dichiarato di voler non intrattenere rapporti con l’Arabia Saudita, ma poi a luglio si era rimangiato la parola nell’intento di fermare la crescita dei prezzi della benzina.
Tutto questo ma anche altro, segnala il molto americano Rampini sul Corriere della sera. Problema di politica internazionale che riguarda la guerra in Ucraina ma non soltanto. Alla riunione dell’OPEC+ era presente anche la Russia, con il vice primo ministro Alexander Novak. La decisione di ridurre la produzione per far crescere i prezzi può aiutare l’economia russa e rendere meno efficaci le misure di embargo economico e il tetto al prezzo del petrolio imposto dall’Unione Europea, ma non soltanto.
Di fatto è stata una aperta contestazione alla decisioni di parte occidentale su buoni e cattivi, regole internazionali e sanzioni senza alcun avallo Onu a certificarle.
Delusione e peggio da parte degli Stati Uniti, che avevano esercitato molte pressioni sul regime saudita. I principali giornali statunitensi hanno raccontato che il governo Biden ha reagito con «rabbia» alla riduzione della produzione di greggio, e alcuni esperti hanno parlato di fallimento nei rapporti diplomatici avviati da Biden nei confronti dell’Arabia Saudita: «L’influenza di Biden sui suoi alleati del Golfo è molto minore di quella che il presidente sperava di avere», ha scritto per esempio il New York Times. Gli Stati Uniti avevano ottenuto solo un aumento della produzione di petrolio di 750mila barili al giorno per i mesi di luglio e agosto.
Di fronte a una recessione mondiale e ad un calo della domanda, i paesi dell’OPEC+ hanno deciso una consistente diminuzione della produzione del greggio. Con due generi di problemi per l’amministrazione americana, oltre a rendere plateale la sua ridotta capacità di influenza. Negli ultimi giorni le pressioni da Washington erano state intense, annota il Post. Oltre a problemi economici e politici che minacciano da vicino la stessa presidenza Usa.
Più in generale, come ha specificato il New York Times, «la manifesta indipendenza dell’Arabia Saudita sembra dimostrare che son finiti i tempi in cui i presidenti americani potevano chiedere favori agli alleati del Golfo, aspettandosi che venissero concessi in virtù unicamente del mantenimento di buoni rapporti». L’Arabia Saudita e in generale i produttori di petrolio sembrano far sempre più dipendere le loro scelte principalmente da motivi economici. Il Wto, l’organizzazione mondiale del commercio, ha appena ridotto le sue previsioni sull’andamento dell’import-export nel 2023, da una crescita del 3,4% ad un modesto 1%.
Il taglio della produzione e il conseguente aumento del costo del greggio al barile dovrebbe produrre un aumento del costo della benzina nelle stazioni di servizio fra i 15 e i 30 centesimi di dollaro al gallone. E l’elettorato americano è molto sensibile agli aumenti delle spese per i carburanti e fra un mese si vota alle elezioni di metà mandato, già ritenute problematiche per il partito Democratico. Ed ecco che la portavoce del National Security Council – cabina di regìa della politica estera della Casa Bianca – ha usato toni insolitamente duri: «È chiaro che con questa decisione l’Opec si allinea con la Russia».
Sullo sfondo di questa decisione c’è l’imminente embargo europeo sul petrolio russo, che dovrebbe entrare in vigore fra due mesi. E ci sono le discussioni tecniche sulla modalità di applicazione di quella sanzione contro Putin: «di fatto funzionerà come un divieto imposto alle compagnie assicurative — per lo più europee — di stipulare polizze per navi petroliere se il greggio che trasportano viene venduto a un prezzo oltre il tetto stabilito», sintetizza il Post.
Biden da parte sua si sta già muovendo per depotenziare la mossa Opec+. Il presidente attingerà di nuovo alle riserve strategiche di petrolio americano: altri 10 milioni di barili sul mercato. «Inoltre accelera il disgelo diplomatico con il Venezuela a cui potrebbe togliere le sanzioni, recuperando sul mercato un altro fornitore», annota ancora Rampini, mosse ad ‘alto rischio politico’ verso i sauditi e verso la stessa Europa a vincolo Nato.
La politica monetaria Usa, con il costo del denaro che sale e il superdollaro che mette in difficoltà molti paesi importatori di materie prime. Visioni in rotta di collisione, a prescindere dalla Russia.