Tam-tuumb.
La fanfara militare sprigiona la sua ridondante marcia del pressappochismo e dell’ignavia, questo 2023 se ne va. Tam-tuuumb, sventrando a colpi di cannone e di indifferenza, cupe vampe. Taratatatatata, mitragliando inermi con l’allegro caccia, fiore dell’ingegno indegno umano, corrosivo, fosforeggiante. Con la sua ferocia vestita da Babbo Natale, sorridente come in uno spot della Coca Cola, in un carro armato sparando super proiettili festanti sul cimitero a cielo aperto di Gaza. Quello muore, quello no. Tam-tuuumb, fiutando la paura dei bambini in fuga, prima del selfie da mandare alle famiglie. Una guerra instagrammabile.
Il 2023 se ne va.
Con la lentezza perduta delle speranze di pace, abbandonando le proprie case, vedendo le scuole, gli ospedali, le chiese crollare, con la morte che sanguina nei piedi e l’angoscia. Prigioniero denudato dalla stupidità del soldato, in esposizione nei campi di calcio che si trasformano in lager. Sempre accade che gli aguzzini concentrino le vittime nei rettangoli di gioco. Con quella inossidabile certezza che ogni efferatezza può essere digerita senza troppi problemi di coscienza, mediaticamente, tra un pandoro e un dibattito inutile su qualche tema inessenziale. Il mondo che piange a dirotto sulle vittime della guerra e spalanca le porte all’accoglienza è asimmetrico. Si indigna qualche volta sì, altre no. È anche razzista e non poco.
Vertigini.
Basta voltare lo sguardo dall’altra parte, divergere l’attenzione dalla storia, dall’ingiustizia, dagli assassinii di guerra. Il divertimento è un buon modo, assai sperimentato, per divergere lo sguardo dalle vertigini che provoca l’abisso, dalle cose che dovrebbero farci incavolare, che dovrebbero preoccuparci, farci dubitare in quanto esseri umani, talvolta credenti, altre volte no, ma sempre figli di questa madre terra.
Orchetti.
Tra pandori, gaffe e comiche finali, avanza trionfante anche la politica tronfia di questo Paese allo stremo, culturalmente ed eticamente. Ben rappresentato da mezze figure le cui ombre si allungano malvagie sulle nostre vite, sapendo che quando il potere è così straripante, le conseguenze sono difficili da prevedere.
No, non parlo del potere straripante delle destre maldestre al governo. Non solo. Per il potere – non avendo davvero letto Il Signore degli Anelli, un grande libro sugli effetti del potere – si sono allineati e coperti, obbedendo come mai nella nostra storia alla volontà di chi il potere lo detiene con le armi e con i mercati. Direi più orchetti che elfi. La storia li giudicherà. E sul piano sociale sono quello che sono. Dalla parte dei super ricchi, sempre più ricchi, di chi deturpa l’ambiente, di chi cementifica, di chi è violento contro i più deboli, di chi pensa che le donne debbano stare ai fornelli, di chi spara ai poveri, di chi di fronte alla morte di un bambino inerme pensa che lo sparatore, l’affondatore di gommoni e l’assassino abbiano buone ragioni. Non lo dico io, lo dicono loro. Se ne vantano nelle dichiarazioni a slogan incattivite e ottuse.
Futuro.
Quando le catene stringono forte lo schiavo, anche quello che si sente libero di scegliere le catene, prima o poi tende a ribellarsi. Anche quando dissente dai giovani che epicamente stanno alzando la testa in difesa del loro futuro. Anche quando la mannaia della censura oscura e non taglia, toglie visibilità sui social, crea un ambiente tossico ma pieno di intelligenti soluzioni, di condizioni che rendono la libertà di pensiero, di espressione e il senso critico uno straccio per pulirsi i piedi. Ma griffato…
Non sarà sempre così. Torneremo a batterci dalla parte di chi soffre, dalla parte dei più deboli, degli inermi in balia di una cattiveria banale e reale, di un male che sembra un’appendice scintillante di modernità. Torneremo a lottare e a comprendere le parole e attraverso le parole i fatti e con i fatti ciò che ci accade.
Preposto al servizio delle stelle, io giro, come una ruota, che s’invola all’istante sull’abisso, che finisce sull’orlo del precipizio, io imparo le parole.
Così, concludendo con il poeta Velimir Chlebnikov.