
Carri armati israeliani verso Gaza
Sorpresa, la parola chiave. Con il passare delle ore e col crescere del tragico bilancio delle vittime. Israele ha subito un attacco senza precedenti per intensità e perdite umane, per ricadute politiche interne e per impatto sugli equilibri regionali. E’ accaduto a 50 anni dalla guerra del Kippur, la tentata invasione da Egitto e Siria, ma allora agirono le forze armate di due Stati, mentre ieri e nell’inevitabile seguito militare della tragedia, l’azione è di un partito-movimento paramilitare. Segnale importante per molti.
Da Gaza sono partiti oltre duemila razzi (loro dicono 5mila), piuttosto imprecisi e dalla gittata variabile. Ma proprio questo bombardamento potrebbe essere stato di fatto la copertura per le incursioni di gruppi armati oltre frontiera, che hanno ucciso e catturato 250 civili e soldati, presi alla sprovvista e spesso massacrati. E l’immediata rappresaglia ordinata da Tel Aviv è già costata oltre duecento vite, dove i bersagli sono tra case strette una sull’altra. Mentre adesso si muovo i carri armati per l’attacco via terra.
Mohammed Deif, il comandante operativo di Hamas, certamente ha messo in conto la reazione furiosa di Israele. Ma questo potrebbe rivelarsi un ulteriore errore per Israele, sottolineando la realtà dell’ enorme campo di prigionia che è la Striscia di Gaza: 350 chilometri quadrati popolati da due milioni di persone. Mentre Israele insiste a trattare (senza concedere) con l’Anp dell’87enne Abu Mazen. Un’Autorità nazionale palestinese debole e screditata, mentre le componenti radicali hanno di fatto anche il controllo anche della più popolata e ricca Cisgiordania.
Israele colpito e sconvolto. La riforma della giustizia voluta dal premier Netanyahu sta spaccando il Paese e ha perfino provocato un’inedita frattura nelle Forze armate. «Questo può avere pesato sull’oggettivo, spettacolare fallimento dell’intelligence nell’intercettare i piani di Hamas e dei militari nel bloccare le incursioni da Gaza?», si chiede Andrea Lavazza su Avvenire. Il Paese si è subito ricompattato, tutti i soldati hanno risposto alla chiamata. Ma non è ‘pace fatta’. Nel breve periodo la crisi potrebbe rafforzare la posizione di Netanyahu, ma per lui sarà difficile spiegare come sia stato possibile ciò che è accaduto.
Sotto accusa la politica integralista di Israele, che potrebbe ripetersi persino con più forza, mentre balza agli occhi del mondo il nodo palestinese trascurato colpevolmente. Israele ne paga ora un alto e inaccettabile prezzo, che chiede e merita la totale solidarietà. Ma poi, anche in Israele, qualcosa dovrà cambiare. Perché l’obiettivo politico chiave di Hamas, sottolinea Lucio Caracciolo su Limes, è quello di recuperare alla causa palestinese il mondo arabo e islamico che se ne è disinteressato negli ultimi anni, e sabotare le intese fra petromonarchie arabe, saudita in testa, e l’ex nemico israeliano.
«Hamas è un movimento soprattutto di giovani stufi della gestione degli ‘anziani’ che li hanno condotti in un vicolo cieco, derubricando la Palestina dall’agenda geopolitica mondiale».
Nei prossimi giorni vedremo se questa guerra rientrerà nei canoni classici degli scontri che si ripetono da anni attorno a Gaza con le sue migliaia di vittime civili, oppure si prolungherà ed estenderà oltre le normali due-tre settimane di combattimenti, bombardamenti e rappresaglie varie, attorno e dentro la Striscia.
«L’allargamento potrebbe riguardare sia la Cisgiordania sia il fronte Nord (Libano/Siria) con Ḥizbullāh (Hezbollah) per ora in attesa. Infine, il conflitto diverrebbe strategico in caso di coinvolgimento, a oggi molto improbabile, dell’Iran».