Così Lula e il Brasile, ormai orfano di Bolsonaro, sono finiti nella lista dei ‘cattivi’ di Biden, e i commenti di Luis Inacio, sono stati qualificati come «problematici, retorici e profondamente devianti». Chissà cosa penseranno ora, nello Studio Ovale, dopo che il Ministro degli Esteri-ombra di Lula, e cioè Celso Amorim, in un’intervista concessa al Financial Times, ha chiarito eventuali incertezze interpretative, sulla diplomazia brasiliana. Con speciale riferimento, è ovvio, all’Ucraina. Amorim e la sua autorevolezza -va prima detto-, sono indiscussi. È stato, il responsabile del Dicastero degli Esteri durante i primi due mandati di Lula. Ora alla guida del ‘pool’ che si occupa della ‘grand strategy’ geopolitica brasiliana.
Secondo Amorim, «la posizione bellicosa dell’Occidente contro Mosca rischia di provocare un conflitto più ampio». Amorim sottolinea che Lula e il Brasile non vogliono una Terza guerra mondiale, e nemmeno una nuova Guerra fredda, e invitano tutte le parti in lotta ad ascoltare le esortazioni alla pace che arrivano dai «non allineati». «L’Occidente deve tenere in considerazione tutte le preoccupazioni per la sicurezza del Presidente russo Vladimir Putin – dice ancora l’adviser di Lula – e fermare lo scivolamento verso una pace dei vincitori in stile Versailles». Amorim vuole però sottolineare che l’Ucraina è vittima di una catastrofe geopolitica, con una crisi che dura da decenni. E che la Russia ha questioni di sicurezza che devono essere prese in considerazione.
Per quanto riguarda le accuse americane rivolte al Brasile, di aver assunto una posizione filo-russa, il consigliere di Lula replica dicendo di essere stato, equamente, sia a Kiev che a Mosca. E che il suo Paese è preoccupato, perché vede gli sforzi occidentali diretti a indebolire Mosca. D’altro canto, ciò che per l’Occidente si riduce solo a ideologia o a «modello politico ottimale», in altre aree del pianeta diventa questione di sopravvivenza. Dominano, insomma, l’economia e gli scambi commerciali.
Secondo Paulo Velasco (Università di Rio de Janeiro), la politica delle sanzioni è sempre stata malvista nella dottrina delle relazioni internazionali brasiliane. E nemmeno Lula fa eccezione. Nel caso specifico, l’equazione è presto fatta. Il 30% del Prodotto interno lordo, che si evince dalle statistiche annuali del grande Paese sudamericano, è costituito dall’agroalimentare. Un settore dove le rese per ettaro sono influenzate, in modo determinante, dal massiccio utilizzo dei fertilizzanti. Additivi che vengono importati, per la maggior parte, proprio dalla Russia. L’interscambio, in questo momento, vale intorno ai 10 miliardi di dollari. Ed è così vitale che persino Jair Bolsonaro, l’ex Presidente di destra, ha fatto i salti mortali per conservare la neutralità del Brasile e alimentare i buoni rapporti con Mosca. Perché la ‘multipolarità’ è il modello geopolitico ideale per i Paesi ‘non allineati’ che vogliano continuare a restare tali.
È questa la filosofia che anima i BRICS, in questi giorni in Sudafrica a preparare il meeting di agosto, che potrebbe essere storico. In quell’occasione, infatti, si dovrebbe decidere l’eventuale allargamento di un gruppo finora fermo a Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, BRICS appunto. A crescere, a chiedere molto e con forza.
«I ministri BRICS chiedono un riequilibrio dell’ordine globale lontano dall’Occidente», così titola la BBC, mettendo in evidenza che questi Paesi, con 3,2 miliardi di abitanti, rappresentano il 40% della popolazione mondiale.
Il Ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, ha detto, introducendo i lavori: “«Vogliamo inviare un messaggio forte, che il mondo è multipolare, che si sta riequilibrando e che i vecchi metodi non possono affrontare nuove situazioni. Al centro dei problemi c’è la concentrazione economica, che lascia troppe nazioni nelle mani di poche».
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