
Una vera e propria rivoluzione degli equilibri che governano le relazioni internazionali. La prepotente crescita del movimento dei ‘non allineati’, da molti vista come una sfida al ‘pensiero unico’ occidentale. Tanto che a sottolineare la straordinaria portata del vertice ci sarà, addirittura, il leader cinese Xi Jinping. Una presenza di peso, dato che raramente il Presidente decide di muoversi, se non per occasioni eccezionali. L’obiezione più immediata, però, è che dei presunti ‘non allineati’ fanno parte anche le allineatissime Russia e Cina. Una condizione evidente, che sta mettendo in difficoltà gli altri membri del ‘club’, a cominciare dall’India.
La Cina spinge per modellare i ‘Superbrics’ come una sorta di associazione terzomondista, in antitesi al G7 dell’Occidente. Delhi, invece, frena e vorrebbe costruire un organismo puramente ‘terzo’, cioè non contro qualcuno, ma dotato di una propria personalità e capace di dialogare con tutti. Certo, si tratta di una situazione geopoliticamente ingarbugliata, da trattare con le molle.
Naledi Pandor, Ministro degli Esteri sudafricano, ha dichiarato sbagliato vedere l’espansione dei Brics come una mossa antioccidentale. Tuttavia, aggiungiamo noi, è probabile che a Washington e a Bruxelles interpretino il possibile accesso di Venezuela, Iran e Bielorussia proprio in questo senso. D’altro canto, a Pechino hanno già studiato bene la strategia da seguire: «Se espandiamo i Brics per rappresentare una porzione del Prodotto interno lordo mondiale simile a quella del G7 allora la nostra voce collettiva nel pianeta diventerà più forte».
Paesi del calibro di Argentina, Arabia Saudita e Indonesia saranno, probabilmente, i primi a entrare nel nuovo club dei ‘Superbrics’, aumentando, in modo impressionante, il peso specifico politico dell’organizzazione.
Da un punto di vista protocollare, Vladimir Putin, scegliendo di non andare a Johannesburg, ha praticamente tolto le castagne dal fuoco al Presidente Ramaphosa. Sul leader del Cremlino, infatti, pende un’accusa per crimini di guerra, decisa dalla Corte penale internazionale. Se Putin si fosse recato in Sudafrica, in teoria avrebbe dovuto essere arrestato. Però, secondo rumors delle Cancellerie raccolti a Città del Capo, dovrebbe farsi vedere lo stesso. Ma in videoconferenza. A proposito del vertice dei ‘non allineati‘, fonti diplomatiche riferiscono di una sua recente conversazione con il Presidente iraniano Ebrahim Raisi, che probabilmente ha caldeggiato la candidatura di Teheran come nuovo membro dei Superbrics.
Uno dei preamboli più importanti, alla vigilia del vertice, è stato posto da Luis Inàcio Lula da Silva, il Presidente del Brasile. Lula, oltre a manifestare il suo gradimento per i previsti ingressi di Argentina, Venezuela, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ha posto come prerequisito il rafforzamento della ‘New Development Bank’. L’istituto di credito, specializzato nel sostegno allo sviluppo, con sede a Shanghai, è stato fondato dai Brics e può rappresentare un’alternativa meno invasiva di quella offerta dal Fondo monetario internazionale.
L’Arabia Saudita è in trattative per diventare il nono membro di questa banca multilaterale, che può dare fastidio ai potenti. E, in effetti, l’intervento di Lula ha messo il dito nella piaga. I Paesi in via di sviluppo (o quelli che già hanno raggiunto una certa soglia di crescita) hanno bisogno di capitali da investire in infrastrutture. Il problema per tutti i sistemi fragili è quello di evitare una condizione che, in gergo, la ‘mouse trap’, la «trappola del topo». Se ai governi prestano i soldi e, per vari motivi, questi non li possono restituire, ci si rivolge al Fondo monetario internazionale. Che magari ti salva dal default, ma ti detta le politiche economiche che devi fare. Scelte che non sono asettiche, ma che, spesso, hanno ricadute sociali devastanti e finiscono per scombussolare i già precari equilibri esistenti.
L’FMI ‘salva’ ma pretende: come nel Faust Mefistofele vuole l’anima (economica) di un Paese, che dovrà diventare a sua immagine e somiglianza. È un po’, per certi versi, quella che ha fatto la trojka europea, quando, per esempio, ha succhiato l’economia, ma anche la vita e lo spirito della Grecia, una volta faro della civiltà occidentale e fino a ieri costretta, dalla stessa Europa che ha fatto nascere, a girare col cappello in mano.
Anche nei Paesi più poveri del mondo conoscono la storia. E si attrezzano, per non fare la stessa fine.